Il freddo era insopportabile.
Fuori dal bosco, nella radura, il vento soffiava gelido,
rendendo gli alberi al limitare ghiaccioli immobili.
Il grido del sergente, coperto dalla maschera termica,
giunse affievolito e incomprensibile al comandante Wallace, che si limitò a
guardare nella direzione indicata dal suo uomo.
Capanne.
Sette, forse otto capanne, in un avvallamento dell’immensa
radura, coperte dal bianco del ghiaccio sui lati verso cui soffiava il vento.
Non si vedeva fumo, forse erano già tutti morti.
L’opera di bonifica del settore era già quasi terminata
quando un sopravvissuto, uno dei pochi ancora in grado di rispondere, aveva
parlato di un altro insediamento, ancora più a nord.
Le probabilità di vita erano apparse subito minime, nel
pieno dell’inverno poi, ma gli ordini erano ordini.
Il Comandante Wallace aveva comunicato la cosa e, chiaramente,
l’ordine di verifica era arrivato.
Seguendo sommarie indicazioni - nessuna possibilità di usare
i sensori di calore in quel clima - erano arrivati alla radura dopo due giorni
di cammino.
Wallace indicò ai suoi uomini come procedere, circondando le
capanne con cautela; non sarebbe stata la prima volta che una missione di
bonifica veniva sorpresa dal fuoco degli infetti.
Qui non sembrava ci fosse la possibilità che qualcuno li
avesse avvertiti; l’insediamento più vicino era stato trovato solo due giorni
prima e nessun infetto, supponendo ce ne fossero altri vivi oltre ai due che
avevano trovato, sarebbe stato in grado di coprire la distanza nei tempi del
plotone di Wallace, sano e ben nutrito.
Wallace era un veterano, della prima ora, e sapeva come si
muovevano: un misto di rabbia e paura, con una propensione al sacrificio,
all’immolarsi per la “causa”.
Era stato così sin dall’inizio, da quando i sani,
lentamente, avevano cominciato a riprendere il controllo della situazione.
Dieci anni prima il mondo gli era crollato addosso:
sobillate da ignoranza e paura le popolazioni di quasi tutti gli stati avevano
votato in massa per l’abolizione dei controlli e della profilassi. Politicanti troppo
astuti o troppo ignoranti avevano fatta loro la guerra contro la “cosiddetta
scienza”, come la chiamavano.
Il tasso di mortalità infantile era immediatamente schizzato
verso l’alto, ma la scusa – i veleni che i genitori avevano involontariamente
dovuto subire per anni – era stata una spiegazione accettata da tutti.
Neanche le prime epidemie, spesso mortali, avevano incrinato
la cieca convinzione di essere nel giusto, anzi; di fronte all’evidenza i
soliti politici avevano rapidamente cercato un nemico comune: l’untore.
Un ricordo doloroso per Wallace; famiglie massacrate perché
colpevoli di essere sane.
Non aveva potuto far niente, la polizia non era intervenuta,
assistendo compiacente alla scena, e comunque rivolgersi alla giustizia sarebbe
stato un suicidio.
Nella notte aveva vagato tra i resti della sua casa,
riuscendo a soffocare le grida di disperazione e quelle di gioia quando aveva
trovato Robert, il suo unico figlio superstite, ancora vivo, tra le macerie.
Robert era grande ora, e aveva sopportato bene il crescere solo
con il padre, tra i bambini della zona protetta, più a sud.
La lebbra aveva scatenato la fuga. Quando a New York quasi
quattro milioni di abitanti morirono in pochi mesi la paura dilagò ovunque; i
linciaggi degli untori, quasi tutti afro-americani, più resistenti al morbo, e
le “cure naturali” non riuscirono a fermare il male o placare la paura; e
scapparono.
Piccole comunità, animate da conoscenze sbagliate e “metodi”
primordiali si sparsero per il paese, più che altro a nord, convinte che il
freddo avrebbe congelato le malattie.
I sani assistettero con sgomento a questo suicidio di massa.
Quando, anni dopo, si riuscì a ritornare al controllo, la
bonifica dei “villaggi della salute” dava quasi sempre lo stesso esito: tutti
morti, a volte per cause curabili in pochi giorni di trattamento.
I pochi sopravvissuti, se ancora in grado di intendere,
accettavano con gratitudine le cure; non era più il caso di “vivere liberi”.
Gli uomini avevano circondato il gruppo di capanne, senza
che ci fosse stato un segno di vita.
Wallace diede il segnale con la mano, i soldati indossarono
le maschere protettive ed entrarono.
Il poster era lì, all’ingresso della prima capanna; Wallace
l’aveva visto altre volte, non mancava mai: la ministra della sanità in posa
davanti all’incendio dei laboratori universitari, con una torcia in mano e la
scritta “Finalmente liberi!” sullo sfondo.
Ricercatori e docenti si erano salvati in tempo, non così i
pompieri accorsi per impedire che le fiamme dilagassero; una deflagrazione
enorme, usata dalla ministra e dal suo entourage come dimostrazione dei segreti
pericolosi che si nascondevano dentro quelle mura.
La capanna sulla destra era quella dei bambini, tenuti tutti
insieme per “scambiarsi gli anticorpi”, Wallace contò dodici cadaveri, tra i
due e i tredici anni.
Vittime delle loro madri.
Gli adulti erano sparsi tra le altre capanne, alcuni
all’interno, un paio fuori. Uno era accasciato su un fascio di legnetti e
frasche di pino, ormai gelate, morto sicuramente da più di due settimane.
Le donne, mancavano le donne.
Uno sparo.
Wallace e gli altri, a armi spianate, corsero verso il
caporale, che reggeva il mitra con mani tremanti.
“Mi scusi signore; ho avuto paura e ho sparato, in aria
però!”
E indicò la capanna, l’ultima, più a nord.
Le donne erano tutte lì, venti corpi coperti da cicatrici.
Per quello il caporale aveva sparato.
Wallace, maledicendosi per non averci pensato prima, rifece
il suo percorso correndo, voltò il cadavere dell’uomo con la legna, illuminò
con la torcia quelli degli altri uomini e dei bambini nelle capanne. Tutti
uguali.
Vaiolo.
Wallace, a gesti, dispose gli uomini nuovamente fuori dal
perimetro del minuscolo villaggio e ordinò al caporale di stabilire un contatto
con la base.
Un gemito.
Tutti i soldati si voltarono verso la capanna delle donne.
Wallace rifletté rapidamente; strappò due pali di sostegno
dalla capanna alla sua destra e ne passò uno al sergente, facendogli cenno di
seguirlo.
Sentì il caporale parlare “Qui squadra 12, raggiunta
posizione: focolaio di vaiolo con sospetto sopravvissuto. Richiediamo invio
squadra di trattamento e profilassi, ripeto: sospetto infetto vivente. Massima
urgenza.”
Con le torce accese entrarono nella capanna delle donne, i
pali in avanti, per smuovere i cadaveri.
La ragazza era sul fondo della capanna, vicino ad un
braciere ormai spento, nascosta da coperte e vestiti strappati ai cadaveri più
vicini.
La luce delle torce inquadrò il volto sofferente e deturpato
di quella che una volta doveva essere stata una gran bella ragazza.
Da sotto la massa di indumenti e stracci emerse una mano,
tesa verso i due uomini.
Anche la mano era purulenta.
Il comandante Gordon Wallace, capitano dei corpi di
ricognizione e bonifica, vide passarsi davanti agli occhi i secoli di malattia
e morte, di scienza e studio, di sforzi fatti dall’umanità per affrancarsi dal
virus in nome del progresso e della compassionevole carità con cui l’uomo
protegge i suoi simili.
E sparò.
Freddo.
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