venerdì 7 ottobre 2011

Nel senso

Il Migliavacca, nel senso del Francesco, era da un po' che stava sulla via briscola. Nel senso che aveva cominciato piccolino, quando il padre bancario rispettato l'avevano fatto correre da Boggi in centro per rendere conto delle due sciarpine di seta che il Franceschino si era intascato senza passare dal via, nel senso della cassa.
Il ragioniere padre l'aveva sempre detto che questo figlio qua mah! E gli voleva bene, solo che da quella volta lì l'aveva scoperto, nel senso della scoperta di un nuovo mondo, di una tribù dagli usi e costumi strani e incomprensibili. E da allora, e da allora di altre scoperte ne aveva dovute patire il galantuomo, non l'aveva mai ripreso, ragguagliato, rimproverato. Neanche un sano scappellotto alla milanese, misto di incazzatura solenne e tutto sommato affetto paterno che solo dalle nostre parti si usa.
Si limitava a guardarlo fisso, non corrucciato o riprovante, piuttosto uno studioso che vede per la prima volta un marziano.
E si poteva capirlo, nel senso che il Migliavacca padre stava sotto la voce onestà della Treccani. Ma il figlio... mah!
E le voci correvano, nel senso che anche in Commerciale si sussurrava al caffè, si alludeva con lo sguardo scuotendo il capo in un misto di finto dispiacere per il Ragionere e sana goduria da trapasso Dantesco.
Alla prima uscita del figlio sulla cronaca del Giorno ci fu pure l'invito del Direttore Filiale a fare due chiacchiere in ufficio. E il Migliavacca padre non ci rimase bene.
Anni dopo, sul letto di Niguarda che stava per diventare l'ultimo, ci fu un abbraccio finale, ma lo sguardo era sempre lo stesso.
Il Franceschino cresceva, sia in statura che in cazzate, che cominciavano a farsi notare.
Non che fosse cattivo, solo un po' impulsivo. Pronto allo sberlone preso e dato e immancabilmente beffardo verso la Madama che, sempre immancabilmente, interveniva.
Lui lo diceva che avevano iniziato gli altri, che lo guardavano in modo strano, ma hai voglia a farlo capire a quelli lì.
E tanto era nota la faccia che alla prima cazzata grossa, che a momenti ci scappava il morto, neanche il commissario che rispettava il padre, gli poté risparmiare il gabbio.

Ne uscì bene, nel senso della buona condotta e della pena ridotta, ma ormai aveva rotto il ghiaccio e ci ritornò un paio di volte, sempre per delle cazzate.
La terza volta il direttore, che anche lui sapeva la storia e conosceva il padre, pensò bene di evitargli nei limiti del possibile la quarta, e lo mise in gabbia con Stefanoni Italo, detto tabacca per via dell'inusitata abitudine, se colto sul fatto, a darsela a gambe (nel senso di correre, tabaccare via) anche se dietro c'era la Pula con la volante e lui c'aveva il palo con la Giulia 1600 taroccata ad aspettarlo.
Perchè al di là di questo aspetto un po' naif, che gli aveva fatto fare il giro di San Vittore quelle tre-quattro volte, il tabacca la sapeva lunga, e il direttore – che oggi diremmo un buonista, ma che una volta si diceva brava persona – l'aveva scelto per dirozzare il Franceschino e magari risparmiargli un'altra visitina alla Patrie, nel senso di Galere.
Il tabacca senza che nessuno gli domandasse nulla aveva risposto, nel senso che aveva preso il Franeschino e lo aveva trasfomato in Miglia, nel senso di Migliavacca Francesco fu Renato che, anche se faceva rima con incensurato, dell'incensurato non c'aveva più niente, ma così niente che anche la mamma, la Signora Carla, lo sapeva. In cuor suo e anche fuori.

Col tabacca ci andava d'accordo, e difatti si erano subito messi in società. Per azioni, ma anche per semplici botte da una gamba e via, giusto per sedersi da Marino a farsi uno spaghetto e vedere se c'era qualcuna da farci quattro salti.
Macchine non mancavano mai, anche se il tabacca si sapeva com'era fatto, e per via delle macchine avevano conosciuto il Manara.

Tipo strano, taciturno. Li aveva beccati che gli stavano facendo il 132, ma non si era mica incazzato.
“Questa qui no, che mi serve. Se volete potete farvi la BMW lì, ma via la targa subito che se vi beccano sono cazzi per tutti.”
Tra lo scampato casino e l'inaspettata generosità ne era nato un Camparino al bar dell'angolo, dove il Manara (Roberto detto Robi) li aveva ragguagliati ma fino a un certo punto.
Nel senso che il tabacca, sentendo che il giro di macchine c'era ed era buono, ma se si rispettavano due tre regolette, aveva capito il resto.
“E' un politico” aveva sentenziato, che per chi ha fatto il gabbio non significa Montecitorio o macchine blu, ma piuttosto ora d'aria differenziata e separazione dai “comuni”.
Il Miglia invece aveva fiutato l'affare, e siccome per via di un gabbio precedente c'aveva certi amici che riciclavano come matti a Quarto Oggiaro aveva cominciato a far sparire macchine che neanche il Silvan della TV.

Il Manara gli andava bene, si rispettavano le regole e nessuno si faceva male, ma al di là del camparino non si andava. Nel senso che il tabacca aveva invece fiutato il casino grosso, erano mica anni facili, e preferiva stare alla larga. Tanto che ci avevano litigato sopra, una volta che lo spaghetto di Marino era stato abbondantemente bagnato da Inferno e Braulio della “serata valtellina”.

Così il tabacca non lo accompagnava più dal Manara, e si vedevano solo poi qualche sera, da Marino o in qualche balera del giro.
Il Manara aveva notato l'assenza ma, come al solito, si era fatto i suoi, nel senso dei cazzi, e aveva continuato a elargire berlinone da far sparire come se nulla fosse.
Purtroppo qualcosa c'era e anche parecchio pesante visto che una sera, consegnando un'Alfetta marrone che era un bijoux il Miglia trovò i ragazzi di Quarto un po' sul nervoso, nel senso di incazzati.
Nella consegna precedente avevano trovato il qualcosa sotto il sedile, e non ci volevano avere niente a che fare, anzi se la riprendesse il Miglia quella roba lì e che consegnasse roba pulita se voleva continuare a fare il fornitore.
Il Miglia si ritrovò in mano il di cui, nel senso di una Beretta regolamentare con regolamentari numeri limati. E la riportò al proprietario, nel senso del Manara.

Non che si aspettasse lo sciampagnino e le pacche sulle spalle, ma neanche il ringraziamento che il Manara e altri due che non aveva mai visto prima gli stavano gentilmente offrendo, nel senso dei cazzotti.
Uno poi, uno della bassa Italia con l'accento di Napoli, menava come un fabbro e faceva domande, ma più cercavi di rispondere e più quello menava, tanto che, ormai, il Miglia aveva lasciato perdere.
Alla fine aveva ceduto il Manara. Con un basta così che lo aveva lasciato sgonfiare come un sacco della rumenta svuotato di colpo. Gli altri due si erano fermati quasi subito, nel senso che un altro paio di pappine gli erano arrivate.
E poi domande, ancora domande, non si finiva più.
Quando, alla fine, il Manara gli accese una sigara il Miglia capì che era finita, nel senso bene. Il terrone disse che non poteva uscire conciato così, che bisognava rimetterlo a posto, e così lo portarono in un'altra stanzetta e gli dissero di aspettare.
Così, mentre tra botte e stanchezza si stava quasi per addormentare, e se non fosse stata la poca fiducia che fosse veramente finita bene l'avrebbe fatto, la porta si riaprì e ne entrò un angelo, anzi l'Angela. Con una scatola di cerotti e il flacone del Bialcol.
Terrona anche questa, lo vedevi solo da come ti guardava, ma con mani di altra categoria ripetto a quell'altro, nel senso della delicatezza.
Delicata fino a un certo punto, nel senso che quando le mani del Miglia andarono a posarsi dove l'Angela pretendeva rispetto, lo sganassone di riscontro gli parve suggerire una certa parentela tra quei due.
“E' mio fratello” rispose l'Angela ad una domanda che c'era stata solo tra gli occhi. E gli sorrise.
E vedendo quel sorriso per la prima volta in vita sua il Miglia sentì battere il cuore forte, nel senso che svenne.
Li presero tutti grazie alla Faina, nel senso di Chiovesan Luigi, che al quarto schiaffone in questura si trasformò nell'A-L di Milano e provincia, nel senso di far nomi.
Al Miglia e all'Angela andò relativamente bene, nel senso che l'Angela quasi si salvava con un'accusa di circonvenzione d'incapace al fratello, ma poi il giudice la guardò bene e decise per un sei mesi con la condizionale.
Al Miglia bastò che arrivasse il suo fascicolo sul tavolo del giudice; alto una spanna e datato, raccontava di piccolo brigante, non di eversione. Otto mesi, senza condizionale.
Ne fece quattro per buona condotta, nel senso che la voglia di uscire gli era finalmente scoppiata. Un po' per lui ma molto per l'Angela.
E difatti se ne andò giù a Napoli, dai suoi, per riprendersela, perché lo scambio di lettere degli ultimi mesi era stato più che esplicito.
I genitori lo accolsero come un figlio, nel senso di puttana, perché dopo il processo si erano convinti che a Nord di Avellino tramassero tutti per fargli ammazzare i figli loro.
Angela invece lo accolse come un salvatore e un passaggio al Nord, nel senso che voleva tornare a Milano.
Miglia non se lo fece ripetere e al terzo pranzo da convitato di pietra le prese la mano e disse “adesso andiamo” lasciando il padre, forchetta a mezz'asta, con il vuoto dentro ma non in bocca, nel senso che era piena di bucatini.
A Milano dove? Dall'unica risorsa disponibile per gli scavezacollo, la porta sempre aperta, nel senso della mamma.
La sciura Migliavacca fu chiara: la ragazza le piaceva (l'Angela s'era messa giù da morigerata, nel senso di processione di San Cosimo) e potevano usare la camera degli ospiti che tanto i tempi erano cambiati da quando era giovane lei.
Ma Francesco doveva trovarsi un lavoro, nel senso di normale.
La memoria di suo padre era ancora sentita in filiale e il direttore, memore della dedizione dello stesso, lo indirizzò come commesso presso il negozio di abbigliamento di un facoltoso correntista, il Mambretti, cui aveva chiesto di chiudere un occhio nel senso di anche tutti e due.
Sullo stile il Miglia andava forte, anni di soldi facili gli avevano permesso stramberie e gran classe, con quella ecletticità da mala che faceva abboccare i figli di papà, nel senso che sganciavano.
In capo a due mesi si era costruito un giro di clienti fighetti che passavano un giorno si e l'altro pure, e il Mambretti aveva visto il beneficio, nel senso della cassa piena.
Lavorare così lo divertiva, perché era sempre un po' come pigliare per i fondelli il sistema, la società.
Però era bravo, e il Mambretti lo aveva già promosso a capo commesso, poi direttore di negozio, con uno stipendio finalmente degno.
Giusto in tempo perchè, grazie alla camera degli ospiti della sciura Migliavacca, l'Angelina aveva un ritardo, nel senso che il patatrac era fatto.
E sempre la sciura Migliavacca organizzò tutto con Don Franco prima che il pancino le sporgesse quel tanto da far biascicare le matrone al mercato, e il Miglia si trovò anellato, nel senso di sposo e pure futuro padre.
L'unica nota dolente niente genitori di lei al matrimonio ma – soprattutto – niente Tabacca.
Scappando, nel senso di a piedi, dall'ennesimo colpetto aveva incrociato la nuova Polizia, meno romantica più sbrigativa. Un colpo di Beretta lo aveva quasi mandato al Creatore, per poi restituirlo invece paraplegico, nel senso che la corsa era finita.
Si mise a fare lavoretti di riparazione in elettronica, assolutamente legali, ma li faceva a casa sua perchè il giudice aveva pensato bene di dargli i domiciliari per i due telecomandi cancelli taroccati che avevano trovato alla banda dei villini.
Miglia se lo andava a trovare ogni tanto, anche con l'Angela, per quattro chiacchiere e due bicchieri.
Dopo Anna era arrivata pure Mariella. E alla seconda figlia il Mambretti gli fece finalmente l'offerta che avevano tutti e due in testa da tempo: prima socio di minoranza poi un po' di più. Il cielo con un dito, nel senso che andava benone eccome.
E così, una domenica, a passeggio tra Galleria e il Duomo con la famiglia, le lasciò andare un po' avanti, per rimirarsele.
Era un uomo fortunato: due belle bambine, una moglie ancora giovane e attraente come il primo giorno, un appartamento quasi pagato, un bel lavoro. Chi poteva essere più felice.
Un lampo di luce sulla vetrina della Rinascente lo fece voltare, e si vide riflesso nel vetro lucido.
E vide suo padre. Più alto, un po' più magro, ma suo padre. E allora capì.
Nel senso che aveva capito.