giovedì 17 novembre 2011

Il senso della Vi

Guardali, tutti lì appesi che mi sorridono, aspettate e vedrete, cari amici.
Cosa mi è toccato fare per tornare a respirare, da esiliato della vita, persona inesistente, dimenticato.
E’ per questo che mi sono inventato questa cazzata, perché sapevo già che in un mondo che rifugge il normale per paura di ammetterselo bisogna uscire dall’ordinario per avere attenzione.
Proprio così, godevano come imbecilli quando gliel’ho detto; figurarsi! Il più scemo di questi rimbambiti (che poi il rimbambito sarei io che ho 78 anni, non loro che hanno il cervello in zuppa a trent’anni!) continuava a dire “Fico, fichissimo!” quasi fossi stato una sciarpina di seta.
Ma sono scattati subito eh? E figurati, un’occasione così quando si ripresenta?
Mi hanno fatto qualche domanda, ma mi ero preparato. Sono rimasti di stucco quando gli ho fatto vedere che ero allenato! Eh si, anche un bavoso di settantotto anni, dico sette-otto, poteva essere allenato, e soprattutto nelle robe giuste: saturazione sopra 100, battito regolare, tono muscolare fuori dalla norma per l’età.
Mi han fatto pure parlare con lo psicologo, ‘sti fessi, come se non mi fossi preparato! Mi ero letto tutto il Durkheim, due volte! E la mia brava psicologhina mi faceva le due domandine che mi aspettavo, proprio lì, come due caciottine fresche da mangiare.
Era tutta sorridente e rilassata, poi, quando la sua “lettura” della questione era rientrata nelle sue capacità di comprensione, come da manuale. E “fico, fichissimo” ancora più pompato,‘che non vedeva l’ora di dare la notizia alla stampa!
Son venuti i giornalisti, son venuti. Tutti a cercare il “pezzo di colore”, l’occasione per scrivere qualcosa che fosse finalmente pubblicato. Certo una notiziola piccola, ma pur di distrarre i lettori da fatti ben più importanti che non si possono scrivere meglio dar risalto al nonnino paracadutista.
Tutto sapevo, tutto. Anche il momento in cui “Fico, fichissimo” mi avrebbe tolto la parola per dire le sue quattro cavolate sullo sport, sul “non mollare”!
L’avrei potuto scrivere in busta chiusa e consegnarglielo dopo. Le solite corbellerie di chi non vuole andare in profondità, di chi tace per non sentire, neanche se stesso.
Abbiamo fatto le foto, gli ho pure messo i ditini a V, come voleva “fico”, che sorrideva gonfiando il petto caso mai la foto fosse finita nelle mani giuste e – finalmente – avesse avuto anche lui l’occasione della vita. Quella che faceva diventare tutto bello.
Bello questo vento, me lo aspettavo più freddo, ma meglio così no?
La tuta non è così scomoda, e non stringe “lì” dove diceva “fico” dandomi di spalla, alla “tra noi uomini veri”.
Povero idiota, c’ha trent’anni e meno voglia di cambiare il mondo di Senise, che ne ha ottanta e gira con il pannolone, ma che vorrebbe essere sulle barricate come nel quarantacinque, che la mira ce l’ha ancora buona dice.
Chiacchiere da Bar, dove siamo relegati quando ancora riusciamo a raggiungerlo. E lì ci si da ai nostri vizi: dalle carte, alla settimana enigmistica, al vino giù giù a perdersi fino al pensare. Roba da sballo vera, mica le schifezze che si cacciano nel corpo i cosiddetti giovani!
Eh pensare. E’ bello ma fa male., se ci sai fare. Toh, la rima.
Se ci sai fare ti fai le domande, mentre pensi. E ti chiedi dove siano finiti tutti. Mica quelli morti, che si sa che o sono tre metri sotto o settemila sopra, secondo le credenze che uno ha. No, dove sono finiti quelli vivi, o biologicamente tali.
Si comincia dai parenti, che svaniscono come i titoli di coda di un bel film. Quando anche l’aiuto truccatore non lo vedi più cominci a capire che sei diventato vecchio, anziano, socialmente fastidioso.
E, contemporaneamente, si innalza reciprocamente il tasso di presenza delle sanguisughe: i politici prima di tutti. Vengono a trovarti con le telecamere di fianco, mai senza. Ed è un tripudio di “Ma che belle signore!, “Sempre arzillo il nonnetto” e cagate simili. All’ultimo che è passato (o il penultimo chi se ne frega) gliel’ho detto: “quanto mi da?”
Quello sorride e fa “Come scusi?”- E io, senza sorridere, “Vuole il mio voto no? Quanto è disposto a pagarmi per averlo? Me lo dica che facciamo il contrattino e lei se ne va a mani piene, che almeno la gita dai vecchi le ha dato qualcosa.”
Niente, neanche il coraggio di accettare l’offerta. Macché.
Si è girato verso Bonelli e ha buttato tutto sul ridere, o peggio ha cominciato anche a parlare di “socialità” e di “ bene della comunità” e “riscoprire i valori antichi”.
Povero scemo, che, se ci stava, pagavo il giro al Bar Grande, magari brindavamo pure alla sua salute, hai visto mai?
Schiavi, ecco cosa sono. Doppiamente perché pensano che gli schiavi siamo noi, che loro ci “governano”. Come se non sapessero che sono solo un’altra parte del formicaio, né peggio né meglio, incastrati come tutti gli altri a portare la loro briciolina.
Formiche? Mica vero. Chissà chi è stato il primo a dire che da quassù sembriamo tante formichine. Uno del 1800, sicuro. Uno che non aveva mai visto le foto aeree, satellitari o gugolmeps, come si chiama.
Guarda là: i bambini escono da scuola. Speriamo c’abbiano una maestra brava, di quelle che ancora ci credono. Che gli insegni mica solo addizioni e accenti ma che imparare è bello. Che è l’unico fuoco che alimenta il pensare!
Come diceva il Dante? “Fatti non foste a viver come bruti!” la più bella bestemmia mai scritta.
Almeno per quella chiesa che ci vuole tutti addormentati.
Non sono addormentato, e ti ho visto che mi fai segno, ma non tocco la maniglia. Sgomentati pure, pirla.
Siamo alla quota giusta, qualcuno ha già aperto. Io no.
Tanto giusto il prete ci mancava, e invece eccolo lì puntuale, a braccia aperte e il sorriso stampato sulla faccia. Porco Giuda. L’unico che non ci era cascato del tutto; m’ha fatto sudare eh? Quelli lì, quando hanno l’idea che gli stai scappando dalle grinfie, che li stai fregando, vengono fuori d’istinto. Non mollava, non ci credeva al vecchietto che voleva far vedere quanto valeva, che sognava un momento di notorietà. Peggio della Gestapo, mica perché l’ho conosciuta eh, ma me l’ha raccontata il Villani. Sette giorni a Villa Triste che si vedono nelle unghie mai più ricresciute e nella voce, ogni volta che parla.
Chi ha conosciuto le infinite bassezze dell’uomo si porta dentro una ferita che non si chiuderà mai. Un peso che ogni giorno ti porta giù.
Ma qui siamo ancora in alto, secondo me a 2000. Potrei ancora tirare, ma perché?
Paura non ne ho, neanche il prete è riuscito a instillarmi il diavolo della morte, che di solito gli riesce bene con tutti. Ho fatto il finto tonto, tanto dovevo solo copiare da “fico, fichissimo”.
Alla fine ha mollato. Non c’ha creduto del tutto, questo lo so, ma non è riuscito a fottermi, e questo lo sapeva lui.
Sulla porta l’ho baciato, così rispettiamo la loro tradizione. Se n’è andato via con gli occhi cattivi: un’anima in meno in controllo, una pecorella in più che si faceva i cazzi suoi.
E difatti continuo a farmeli. Lo so, lo so dov’è la maniglia di emergenza. Non fatemi gesti, che tanto ho capito. Voi no eh?
Sembrate il professore. Eh si, anche lui mi sono dovuto sorbire, per una volta attento.
Certo, c’è da capirlo. Non si può vivere una vita assillato dai problemi dei vecchi. Tanto la malattia è sempre la stessa: la vecchiaia, che noi ci sforziamo di curare prolungandola. Così il professore, per una volta, voleva capire.
Mi ha fatto gli esami, per vedere se rientravo in qualcuno degli schemi che s’è imparato a scuola. Niente, non è riuscito neanche a trovare una pillola giusta, questa volta.
Mica come la Trancani, che ogni volta va a piangergli la sua solitudine, dissimulata in forma di dolori, di paure di “qualcosa di brutto” e se ne torna a casa carica di belle parole e scatolette prese in farmacia; tanto per contribuire economicamente al sistema.
Via così, veloci, che sono un medico; mica un’assistente sociale o vostro nipote! Uno alla volta ma max venticinque minuti, prego qua la ricetta, che il tempo vola.
Anch’io volo, e il campetto è sempre più vicino.
Perché lo faccio? Boh, tanto ormai è troppo tardi per tirare. Cosa fatta capo ha, diceva mia nonna.
Roba solida, venuta su in campagna che non aveva paura di niente, neanche dei tedeschi della Wermacht, tanto per capirci.
L’ho fatto per la nonna ecco, perché quando se n’è andata ha aspettato a fare la pasta, se no si buttava tutto. E poi è salita in camera, e a noi nipoti ha detto solo “allora io vado”.
Così, serena, senza paure o pianti, ‘che tanto il senso della vita, della sua, l’aveva capito e aveva capito che c’ha un fine, di nome e di fatto.
Mica i piagnistei che mi toccano ogni giorno, di vecchi spaventati perché la morte non rientra nel giro del mondo attuale. Morire non fa “fico, fichissimo”. E poi non consumi più, non chiedi più mutui (che tanto dopo i sessanta non te li fa più nessuno lo stesso), non contribuisci al benessere sociale. Morire non è bello, soprattutto se non hai ancora provato il calcio in 3D!
Questa si che è vita!
Poi però tutti lì a farsi domande, indire convegni e partecipare a tolc-sciò per discutere sul “senso della vita”.
Banda di idioti. Come se non si sapesse.
Ecco, potevo lasciarglielo scritto, ma una lettera avrebbe sicuramente causato domande e – forse – qualcuno si sarebbe accorto del mio trucco.
E allora ve lo dico adesso, che sto ritornando alla terra, nel vero senso della frase, sempre più vicina, altro che formiche.
Volete sapere qual è il senso di questa cosa che chiamiamo vita? Semplice! Ecco la rispostona al quiz mega milionario, quella che farà felice la massa:
“il senso della vi…”.

Da "La Repubblica" del 13 novembre 2011:
A 78 anni si lancia da 4000 metri
 ma il paracadute non si apre
L'uomo non è riuscito ad aprire completamente il paracadute forse a causa di una manovra errata.

venerdì 7 ottobre 2011

Nel senso

Il Migliavacca, nel senso del Francesco, era da un po' che stava sulla via briscola. Nel senso che aveva cominciato piccolino, quando il padre bancario rispettato l'avevano fatto correre da Boggi in centro per rendere conto delle due sciarpine di seta che il Franceschino si era intascato senza passare dal via, nel senso della cassa.
Il ragioniere padre l'aveva sempre detto che questo figlio qua mah! E gli voleva bene, solo che da quella volta lì l'aveva scoperto, nel senso della scoperta di un nuovo mondo, di una tribù dagli usi e costumi strani e incomprensibili. E da allora, e da allora di altre scoperte ne aveva dovute patire il galantuomo, non l'aveva mai ripreso, ragguagliato, rimproverato. Neanche un sano scappellotto alla milanese, misto di incazzatura solenne e tutto sommato affetto paterno che solo dalle nostre parti si usa.
Si limitava a guardarlo fisso, non corrucciato o riprovante, piuttosto uno studioso che vede per la prima volta un marziano.
E si poteva capirlo, nel senso che il Migliavacca padre stava sotto la voce onestà della Treccani. Ma il figlio... mah!
E le voci correvano, nel senso che anche in Commerciale si sussurrava al caffè, si alludeva con lo sguardo scuotendo il capo in un misto di finto dispiacere per il Ragionere e sana goduria da trapasso Dantesco.
Alla prima uscita del figlio sulla cronaca del Giorno ci fu pure l'invito del Direttore Filiale a fare due chiacchiere in ufficio. E il Migliavacca padre non ci rimase bene.
Anni dopo, sul letto di Niguarda che stava per diventare l'ultimo, ci fu un abbraccio finale, ma lo sguardo era sempre lo stesso.
Il Franceschino cresceva, sia in statura che in cazzate, che cominciavano a farsi notare.
Non che fosse cattivo, solo un po' impulsivo. Pronto allo sberlone preso e dato e immancabilmente beffardo verso la Madama che, sempre immancabilmente, interveniva.
Lui lo diceva che avevano iniziato gli altri, che lo guardavano in modo strano, ma hai voglia a farlo capire a quelli lì.
E tanto era nota la faccia che alla prima cazzata grossa, che a momenti ci scappava il morto, neanche il commissario che rispettava il padre, gli poté risparmiare il gabbio.

Ne uscì bene, nel senso della buona condotta e della pena ridotta, ma ormai aveva rotto il ghiaccio e ci ritornò un paio di volte, sempre per delle cazzate.
La terza volta il direttore, che anche lui sapeva la storia e conosceva il padre, pensò bene di evitargli nei limiti del possibile la quarta, e lo mise in gabbia con Stefanoni Italo, detto tabacca per via dell'inusitata abitudine, se colto sul fatto, a darsela a gambe (nel senso di correre, tabaccare via) anche se dietro c'era la Pula con la volante e lui c'aveva il palo con la Giulia 1600 taroccata ad aspettarlo.
Perchè al di là di questo aspetto un po' naif, che gli aveva fatto fare il giro di San Vittore quelle tre-quattro volte, il tabacca la sapeva lunga, e il direttore – che oggi diremmo un buonista, ma che una volta si diceva brava persona – l'aveva scelto per dirozzare il Franceschino e magari risparmiargli un'altra visitina alla Patrie, nel senso di Galere.
Il tabacca senza che nessuno gli domandasse nulla aveva risposto, nel senso che aveva preso il Franeschino e lo aveva trasfomato in Miglia, nel senso di Migliavacca Francesco fu Renato che, anche se faceva rima con incensurato, dell'incensurato non c'aveva più niente, ma così niente che anche la mamma, la Signora Carla, lo sapeva. In cuor suo e anche fuori.

Col tabacca ci andava d'accordo, e difatti si erano subito messi in società. Per azioni, ma anche per semplici botte da una gamba e via, giusto per sedersi da Marino a farsi uno spaghetto e vedere se c'era qualcuna da farci quattro salti.
Macchine non mancavano mai, anche se il tabacca si sapeva com'era fatto, e per via delle macchine avevano conosciuto il Manara.

Tipo strano, taciturno. Li aveva beccati che gli stavano facendo il 132, ma non si era mica incazzato.
“Questa qui no, che mi serve. Se volete potete farvi la BMW lì, ma via la targa subito che se vi beccano sono cazzi per tutti.”
Tra lo scampato casino e l'inaspettata generosità ne era nato un Camparino al bar dell'angolo, dove il Manara (Roberto detto Robi) li aveva ragguagliati ma fino a un certo punto.
Nel senso che il tabacca, sentendo che il giro di macchine c'era ed era buono, ma se si rispettavano due tre regolette, aveva capito il resto.
“E' un politico” aveva sentenziato, che per chi ha fatto il gabbio non significa Montecitorio o macchine blu, ma piuttosto ora d'aria differenziata e separazione dai “comuni”.
Il Miglia invece aveva fiutato l'affare, e siccome per via di un gabbio precedente c'aveva certi amici che riciclavano come matti a Quarto Oggiaro aveva cominciato a far sparire macchine che neanche il Silvan della TV.

Il Manara gli andava bene, si rispettavano le regole e nessuno si faceva male, ma al di là del camparino non si andava. Nel senso che il tabacca aveva invece fiutato il casino grosso, erano mica anni facili, e preferiva stare alla larga. Tanto che ci avevano litigato sopra, una volta che lo spaghetto di Marino era stato abbondantemente bagnato da Inferno e Braulio della “serata valtellina”.

Così il tabacca non lo accompagnava più dal Manara, e si vedevano solo poi qualche sera, da Marino o in qualche balera del giro.
Il Manara aveva notato l'assenza ma, come al solito, si era fatto i suoi, nel senso dei cazzi, e aveva continuato a elargire berlinone da far sparire come se nulla fosse.
Purtroppo qualcosa c'era e anche parecchio pesante visto che una sera, consegnando un'Alfetta marrone che era un bijoux il Miglia trovò i ragazzi di Quarto un po' sul nervoso, nel senso di incazzati.
Nella consegna precedente avevano trovato il qualcosa sotto il sedile, e non ci volevano avere niente a che fare, anzi se la riprendesse il Miglia quella roba lì e che consegnasse roba pulita se voleva continuare a fare il fornitore.
Il Miglia si ritrovò in mano il di cui, nel senso di una Beretta regolamentare con regolamentari numeri limati. E la riportò al proprietario, nel senso del Manara.

Non che si aspettasse lo sciampagnino e le pacche sulle spalle, ma neanche il ringraziamento che il Manara e altri due che non aveva mai visto prima gli stavano gentilmente offrendo, nel senso dei cazzotti.
Uno poi, uno della bassa Italia con l'accento di Napoli, menava come un fabbro e faceva domande, ma più cercavi di rispondere e più quello menava, tanto che, ormai, il Miglia aveva lasciato perdere.
Alla fine aveva ceduto il Manara. Con un basta così che lo aveva lasciato sgonfiare come un sacco della rumenta svuotato di colpo. Gli altri due si erano fermati quasi subito, nel senso che un altro paio di pappine gli erano arrivate.
E poi domande, ancora domande, non si finiva più.
Quando, alla fine, il Manara gli accese una sigara il Miglia capì che era finita, nel senso bene. Il terrone disse che non poteva uscire conciato così, che bisognava rimetterlo a posto, e così lo portarono in un'altra stanzetta e gli dissero di aspettare.
Così, mentre tra botte e stanchezza si stava quasi per addormentare, e se non fosse stata la poca fiducia che fosse veramente finita bene l'avrebbe fatto, la porta si riaprì e ne entrò un angelo, anzi l'Angela. Con una scatola di cerotti e il flacone del Bialcol.
Terrona anche questa, lo vedevi solo da come ti guardava, ma con mani di altra categoria ripetto a quell'altro, nel senso della delicatezza.
Delicata fino a un certo punto, nel senso che quando le mani del Miglia andarono a posarsi dove l'Angela pretendeva rispetto, lo sganassone di riscontro gli parve suggerire una certa parentela tra quei due.
“E' mio fratello” rispose l'Angela ad una domanda che c'era stata solo tra gli occhi. E gli sorrise.
E vedendo quel sorriso per la prima volta in vita sua il Miglia sentì battere il cuore forte, nel senso che svenne.
Li presero tutti grazie alla Faina, nel senso di Chiovesan Luigi, che al quarto schiaffone in questura si trasformò nell'A-L di Milano e provincia, nel senso di far nomi.
Al Miglia e all'Angela andò relativamente bene, nel senso che l'Angela quasi si salvava con un'accusa di circonvenzione d'incapace al fratello, ma poi il giudice la guardò bene e decise per un sei mesi con la condizionale.
Al Miglia bastò che arrivasse il suo fascicolo sul tavolo del giudice; alto una spanna e datato, raccontava di piccolo brigante, non di eversione. Otto mesi, senza condizionale.
Ne fece quattro per buona condotta, nel senso che la voglia di uscire gli era finalmente scoppiata. Un po' per lui ma molto per l'Angela.
E difatti se ne andò giù a Napoli, dai suoi, per riprendersela, perché lo scambio di lettere degli ultimi mesi era stato più che esplicito.
I genitori lo accolsero come un figlio, nel senso di puttana, perché dopo il processo si erano convinti che a Nord di Avellino tramassero tutti per fargli ammazzare i figli loro.
Angela invece lo accolse come un salvatore e un passaggio al Nord, nel senso che voleva tornare a Milano.
Miglia non se lo fece ripetere e al terzo pranzo da convitato di pietra le prese la mano e disse “adesso andiamo” lasciando il padre, forchetta a mezz'asta, con il vuoto dentro ma non in bocca, nel senso che era piena di bucatini.
A Milano dove? Dall'unica risorsa disponibile per gli scavezacollo, la porta sempre aperta, nel senso della mamma.
La sciura Migliavacca fu chiara: la ragazza le piaceva (l'Angela s'era messa giù da morigerata, nel senso di processione di San Cosimo) e potevano usare la camera degli ospiti che tanto i tempi erano cambiati da quando era giovane lei.
Ma Francesco doveva trovarsi un lavoro, nel senso di normale.
La memoria di suo padre era ancora sentita in filiale e il direttore, memore della dedizione dello stesso, lo indirizzò come commesso presso il negozio di abbigliamento di un facoltoso correntista, il Mambretti, cui aveva chiesto di chiudere un occhio nel senso di anche tutti e due.
Sullo stile il Miglia andava forte, anni di soldi facili gli avevano permesso stramberie e gran classe, con quella ecletticità da mala che faceva abboccare i figli di papà, nel senso che sganciavano.
In capo a due mesi si era costruito un giro di clienti fighetti che passavano un giorno si e l'altro pure, e il Mambretti aveva visto il beneficio, nel senso della cassa piena.
Lavorare così lo divertiva, perché era sempre un po' come pigliare per i fondelli il sistema, la società.
Però era bravo, e il Mambretti lo aveva già promosso a capo commesso, poi direttore di negozio, con uno stipendio finalmente degno.
Giusto in tempo perchè, grazie alla camera degli ospiti della sciura Migliavacca, l'Angelina aveva un ritardo, nel senso che il patatrac era fatto.
E sempre la sciura Migliavacca organizzò tutto con Don Franco prima che il pancino le sporgesse quel tanto da far biascicare le matrone al mercato, e il Miglia si trovò anellato, nel senso di sposo e pure futuro padre.
L'unica nota dolente niente genitori di lei al matrimonio ma – soprattutto – niente Tabacca.
Scappando, nel senso di a piedi, dall'ennesimo colpetto aveva incrociato la nuova Polizia, meno romantica più sbrigativa. Un colpo di Beretta lo aveva quasi mandato al Creatore, per poi restituirlo invece paraplegico, nel senso che la corsa era finita.
Si mise a fare lavoretti di riparazione in elettronica, assolutamente legali, ma li faceva a casa sua perchè il giudice aveva pensato bene di dargli i domiciliari per i due telecomandi cancelli taroccati che avevano trovato alla banda dei villini.
Miglia se lo andava a trovare ogni tanto, anche con l'Angela, per quattro chiacchiere e due bicchieri.
Dopo Anna era arrivata pure Mariella. E alla seconda figlia il Mambretti gli fece finalmente l'offerta che avevano tutti e due in testa da tempo: prima socio di minoranza poi un po' di più. Il cielo con un dito, nel senso che andava benone eccome.
E così, una domenica, a passeggio tra Galleria e il Duomo con la famiglia, le lasciò andare un po' avanti, per rimirarsele.
Era un uomo fortunato: due belle bambine, una moglie ancora giovane e attraente come il primo giorno, un appartamento quasi pagato, un bel lavoro. Chi poteva essere più felice.
Un lampo di luce sulla vetrina della Rinascente lo fece voltare, e si vide riflesso nel vetro lucido.
E vide suo padre. Più alto, un po' più magro, ma suo padre. E allora capì.
Nel senso che aveva capito.

giovedì 22 settembre 2011

Volto Santo di Gesù Proteggimi

Quello il portiere doveva venire a ripararla questa tapparella e invece non s’è visto. Ahia la mia schiena Volto Santo di Gesù Proteggimi c’è il sole speriamo non faccia troppo caldo poveri figli miei tutti soli in mezzo a una strada. La tapparella è bloccata e quello non viene trova sempre qualcosa ma io so che non viene perché dice che c’è puzza, che io sto con quelli e che la casa puzza.
Solo io penso a loro, Volto Santo di Gesù Proteggimi, pane ne ho ancora?
Si, poco, poveri figli miei. E sono sempre di più, e mi vengono a cercare perché mi vogliono bene. Mi guardano con quegli occhi belli, poveri figli miei, e mi chiedono pane, pane.
E poi? Quando Adelina non ci sarà più? Volto Santo di Gesù Proteggimi, chi penserà a loro?
Non il panettiere, cattivo che non mi dà più il pane perché i vicini protestano, dice. Non vuole problemi lui, e muoiono di fame in mezzo ad una strada i poveri figli miei. Protestano i vicini. Come all’ufficio.
Adelina vada tranquilla in pensione mi ha detto, ma io lo sapevo che gli altri protestavano, tutti cattivi perché pensavo ai figli miei. Non sono creature di Dio? Volto Santo di Gesù Proteggimi.
Puzzavo. Dicevano che puzzavo, che ero sporca. Cos’è sporco? Pensare ai figli miei?
Cattivi sono, cattivi Volto Santo di Gesù Proteggimi.
Uh com’è pesante questo sacco. Ma mangiano poveri figli miei e sono sempre di più: arrivano anche da lontano adesso. E io devo passare da dietro, perché se il portiere mi vede mi sgrida, cattivo, Volto Santo di Gesù Proteggimi.
Dice che non li devo più far venire, che la Bozzano del quinto piano ha paura. Che non si sa da dove vengono, che portano le malattie. Cattiva, cattiva Bozzano Volto Santo di Gesù Proteggimi. Le malattie! I figli miei! Che malattie hanno che sono sempre felici quando mi vedono? E sempre di più. Io non c’ho paura, anche di notte, quando mi lasciano sola e nessuno mi disturba.
Le guardie mi hanno mandato, a me. Volto Santo di Gesù Proteggimi. Ma che sono una criminale io? Criminale è chi li lascia in mezzo a una strada, a morire. Io gliel’ho detto che Adelina fa fatica, che ancora un po’ e non ce la fa più. Ma loro sono tanti. E portano pure i figli grandi ormai, creature di Dio, ‘che di Adelina si fidano.
E Adelina corre, prende il pane dall’altra parte della città e lo porta fin qui per i figli suoi.
Mi ha detto che mi fanno fuori tutta la pensione, che se ne approfittano. Ma chi? I figli miei? Quelli solo amore vogliono, amore e pane.
Ma quelli si lamentano, cattivi. Volto Santo di Gesù Proteggimi.
Quello della macchina mi fa paura. Mi ha urlato, che gli sporcano la macchina, che la deve far lavare tutti i giorni. Mi ha detto che li ammazza tutti! I figli miei! Che sono una vecchia pazza e mi fa internare. Volto Santo di Gesù Proteggimi Adelina non è pazza, Adelina porta solo da mangiare ai figli suoi.
E loro sono contenti, sono buoni.
Non sono cattivi, Volto Santo di Gesù Proteggimi.
E sorridono ad Adelina; quando mi vedono mi vengono incontro e mangiano dalle mani mie. E mai, neanche una volta, uno di loro mi ha punto col becco. Volto Santo di Gesù Proteggimi.