mercoledì 31 ottobre 2018

La giornata del Signor D. (unicuique suum)


La radio si accese alle 7:06 precise.
Nella stanza da letto, in penombra per via delle imposte che lasciavano filtrare un po’ di luce, si diffusero le note di un vecchio successo dei Rolling Stones.
Il Signor D., ancora sepolto tra i cuscini di raso nero, sorrise: Sympathy for the Devil era uno dei suoi brani preferiti.
Uscito dal bagno si preparò la colazione: sul tavolo in cucina apparve un full english brakfast completo, con tanto di hash brown e, giusto per gradire, due fettine di haggis.
Finito di mangiare il Signor D pensò a sparecchiare e, in un istante, il tavolo tornò immacolato, come il resto dell’appartamento.
Si sistemò il nodo della cravatta senza usare lo specchio e si infilò la giacca del suo gessato misto lana, fuori un bel sole splendeva ma il Signor D non aveva mai troppo caldo.
Girato l’angolo si imbatté in Cosimo, il giornalaio.
“Oh! Buongiorno Signor D!”
“Buongiorno Cosimo, dove va di bello?”
“Ma no, niente: sono andato su a portare i giornali al maresciallo Paretti. Sa, con le sue gambe non se la sente più di fare le scale subito la mattina, mi ha detto che ormai aspetta in casa fin verso mezzogiorno…”
Il Signor D pensò per un istante al vecchio Maresciallo in pensione, che conosceva di vista, e alla Signora Edvige, la sua portinaia.
Proprio in quel momento la Signora, che stava lavando le scale del vecchio stabile, senza ascensore, aggiunse un po’ troppo sapone nel secchio.
“Ho i suoi giornali Signor D” continuò Cosimo “Glieli ho tenuti da parte, al solito.”
Il Signor D lo seguì all’edicola, dove Cosimo gli passò un paio di quotidiano, accuratamente piegati.
“Ecco qua, Signor D, il suo Oppresso e il suo Aggiornato, come al solito.”
Il Signor D prese i giornali e tese a Cosimo una banconota, quasi si fosse materializzata tra le sue dita.
Cosimo porse il resto “Ha visto che clima? Siamo ad Ottobre e fa ancora caldo come a Giugno, qua c’è sotto qualcosa…”
Il Signor D accennò un sorriso fatalista e si avviò sfogliando i quotidiani; lesse il titolo dell’editoriale di Salmastri, il direttore, e pensò a lui.
Il Direttore Salmastri entrò in redazione, guardò Oggetti, il capo redattore, e puntandogli il dito disse:
“Domani dobbiamo uscire con il clima, guarda un po’ se riusciamo a mettere insieme qualcosa sulle scie chimiche e i cannoni a microonde…”
“Ma Direttore, non saprei… io ho sottomano il responsabile dell’ufficio meteorologico dell’Aeronautica, ma se gli dico ‘ste cose mi manda a…”
Salmastri lo interruppe.
“Meglio, così titoliamo che le autorità sono reticenti e negano, sai che tiratura!?!”
Il Signor D si accomodò al tavolino nel dehors del Caffè Roberto, salutando il proprietario, Roberto appunto, intento alla macchina del caffè dietro al bancone.
“Buongiorno Signore D, vuoi che te porto il solito di caffè e biscottino?”
Ana, una massa di riccioli rossastri su un esile corpo da ragazza madre rumena, scappata dalle botte e dalle brutture della sua famiglia e della sua povertà con Angelo, suo figlio, studente delle medie.
La professoressa Cegnari batté il fascio di compiti sulla cattedra, e il brusìo di fondo della classe sparì.
“Allora, ragazzi cari, vi dico subito che dobbiamo riprenderci tutto il capitolo 12, e non mi interessa se è la seconda volta!” i ragazzi abbassarono le teste sui banchi.
“Perché qui c’è qualcuno” e la Cegnari guardò fisso in direzione di Angelo Raducieu, “Che ancora non sa scrivere in Italiano!! Quindi pagate tutti per colpa sua!!”
Il Signor D sorrise ad Ana, che rientrò al bar dopo avergli spolverato il tavolino.
Al tavolino di fianco la Signorina Bonini, una candida ottuagenaria che non si risparmiava la sua passeggiata mattutina con Mamphis, il suo bassottino, gli sorrise allegra e riprese a conversare con la nipote, l’elegante farmacista di quartiere.
“Comunque nonna, domani in posta ti accompagno. Mi aspetti e vengo con te, che non mi piace che vai da sola.”
“Ma bambina mia, come sei esagerata! Cosa vuoi che mi succeda che la posta è qui dietro l’angolo, non devo neanche attraversare.” E indicò il palazzo più avanti, su cui si posarono anche gli occhi del Signor D.
Qualche momento dopo il Dottor Cavretti, compagno di burraco della Bonini, venne affiancato da due ragazzi in motorino, giusto mentre stava per infilarsi in tasca la busta mensile ritirata in posta.
Cavretti non mollò la presa, ma il passeggero del motorino neanche e così, mentre l’altro accelerava, il dottore venne trascinato per un centinaio di metri. Prima in piedi poi, con l’aumento della velocità, per terra, con il braccio proteso e tenere la sua pensione.
L’urto con l’auto posteggiata fu molto forte, tanto che molti sentirono il rumore delle ossa di Cavretti che si spezzavano.
La tranquilla mattinata del Signor D, passata sulle panchine del parco lì vicino, a leggere giornali e “Massa e potere” di Canetti (un libro che continuava a rileggere da anni, con piacere) coincise con un imprecisato numero di palloncini sfuggiti alle manine dei proprietari, cagnolini che si azzuffavano, madri e tate preoccupate dalla presenza di Vayolka Muru, che proprio quel giorno aveva lasciato il campo nomadi dall’altra parte della città senza sapere neanche lei il perché, e la contemporanea assenza di qualsiasi Vigile, presi com’erano dall’incidente davanti alle poste.
Pranzò alla trattoria annessa al Circolo ex combattenti, giusto in tempo per ascoltare alla radio il vibrante discorso del Ministro dell’Interno, cui pensava ogni giorno, e i giudizi di approvazione di quei vecchi soldati, inneggianti al ritorno ai tempi più sicuri e felici in cui tutti loro erano dovuti partire per il fronte, molti non tornando.
Nel pomeriggio, un po’ annoiato, il Signor D pensò ai due nordafricani che tornavano dal centro per l’impiego attraversando il parco, cui non parse vero di potersi lavare completamente alla fontanella di fronte all’area giochi, che subito si spopolò di bambini frignanti e recalcitranti, strappati a forza dai giochi da mani adulte.
Verso sera, quando il Signor D cominciò a sentire che il fresco stava diventando troppo freddo per lui, si avviò verso casa, non prima di aver cortesemente salutato la coppietta seduta alla panchina di lato, Aldo il magazziniere della ferramenta e Luisa la giovane parrucchiera, giusto qualche istante prima che sul telefono di Aldo arrivasse un messaggio scollacciato di quella poco di buono di Iside, la cassiera del supermarket, scatenando litigate e lacrime tra i due.
Rientrando verso casa il Signor D si informò preoccupato sullo stato del Maresciallo Paretti, proprio mentre l’ambulanza partiva. Edvige, tra le lacrime, gli confermò che non solo uno ma entrambi i femori si erano fratturati, scomposti pure, e che anche i lettighieri avevano commentato che, a quell’età, delle fratture così non potevano che portare altri guai.
Il Signor D pensò per un istante all’ospedale cittadino, e al suo antiquato sistema di riscaldamento.
Rientrò in casa e accese la luce.
“Buonasera”, disse il vecchio seduto sul divano.
“Ah! I tempi son proprio cambiati se anche l’altissimo si presenta come un ladro nella notte!” disse il Signor D, dissimulando lo stupore “Cos’è? Gabriele è in vacanza? Gli hai dato gli otto giorni? I cherubini hanno finalmente scoperto il sesso e se la stanno spassando fra le nuvole?”
“Come sei scontato… dici sempre le stesse cose.”
“Beh, l’ultima volta non eri proprio così convinto, vero? Cos’era, circa duemila anni fa? In quel bel deserto, ricordi?”
L’altro schioccò le dita e l’intera stanza si congelò; pareti brinate, mobili ricoperti dal ghiaccio e anche un bel paio di stalattiti gocciolanti in mezzo al soffitto.
Il Signor D fece una smorfia
“Gentile, sai che non mi piace il freddo, l’ho patito troppo a lungo.”
Il vecchio sorrise allo sguardo di risentimento del Signor D; vecchie ruggini. Ma non è bello stravincere quando hai già vinto, così alzò un sopracciglio e la stanza ritornò com’era prima.
“Cosa cazzo stai facendo!?” esclamò.
Il Signor D lo fissò, sinceramente sbigottito.
“Certo che il mondo di qua e di là è veramente cambiato, se anche l’altissimo parla come un guappo di strada. La Madonna lo sa che usi queste parole? Non vorrai mica farla piangere anche tu? E, se devi, possiamo metterci d’accordo sulla location, questa volta?”
“Piantala, e spiega.” Fu la risposta.
“Ma non c’è proprio nulla da spiegare, caro il mio ragazzo.”
“Cosa pensi di ottenere, seminando paura e ignoranza?” rincarò il vecchio.
“Io? Io non semino un bel nulla, io accolgo solo dei suggerimenti!”
“Ma cosa dici, disgraziato! Quali suggerimenti!?”
Il Signor D, che aveva aperto il mobile bar del salotto, si versò un bicchiere di Single Malt.
Il vecchio, che non aveva potuto non apprezzare la scelta di distilleria, annata e invecchiamento, rifiutò seccamente il cenno a condividere che il Signor D gli aveva fatto.
Con il bicchiere in mano il Signor D si sedette nella poltrona di fronte al vecchio.
“Caro mio; vecchio, vecchio mio” sorrise il Signor D “Se sei venuto cercando un colpevole sei proprio fuori strada. In anticamera c’è uno specchio, tu che puoi usarlo potresti trovare là la causa di tutto quanto ti preoccupa.”
Il vecchio si accigliò “Cosa vuoi dire? Che cosa ti stai inventando!?
Il Signor D, sbuffò e prese un sigaro dalla scatoletta sul tavolino tra loro, lo accese e poi stese le gambe.
“Bello mio, è questo il problema, io non mi invento più niente. Sono anni ormai che ho smesso di pensare a novità o innovazioni.”
Si risedette in maniera composta e guardò il vecchio negli occhi.
“Non credere che mi piaccia eh? Sai come sono fatto, chi meglio di te, ma – semplicemente – non serviva più.”
Il Vecchio si stiracchiò la barba, pensoso.
“Ma te le ricordi le guerre? Le epidemie? Quei begli odi fraterni che spargevo a destra e manca? Non sono più necessarie, sarebbe uno spreco, un lavoro inutile.”
Diede una boccata al sigaro e continuò.
“Ormai il mio lavoro, e non ti nascondo che non sia il massimo, si limita a dar voce ai loro più cupi e tristi sentimenti.”
Appoggiò il bicchiere.
“Certo, sono sempre un artista…” il vecchio sbuffò, ironico, ma il Signor D riprese, con un tono di voce solo un filo più alto.
“Certo, un artista! E la mia arte, la mia creatività, ti piace questa parola eh, megalomane? La applico ai dettagli, alle proiezioni delle loro paure. Ti ha soddisfatto il giretto al parco di oggi?”
Il vecchio sospirò.
“Tu sei sempre stato una delusione, e neanche un po’ di fresco ti ha fatto rinsavire” strizzò ironicamente l’occhio al Signor D e continuò.
“Pensi di raccogliere nuovi adepti semplicemente generando…”
“Vedi come sei antico!?!” Lo interruppe il Signor D, scattando, “Sei sempre rimasto lo stesso! Ancora non vuoi capire, ancora pensi in termini generalizzanti, massificanti. Il mio inferno, il nostro inferno, non esiste più! Si sono evoluti, se mi passi il termine anche se so che ti fa incazzare: non si riconoscono uniti neanche dal male! Gli adepti! Sai che cazzo me ne faccio degli adepti e delle schiere di angeli; accademia!”
Il Vecchio alzò la voce “Ma cosa stai dicendo?! Cosa vuoi fare? Portare l’inferno in terra?! Non ci riuscirai mai! E pagherai ancora una volta la TUA colpa, non quelle degli uomini!”
“Vuoi parlare di colpa ragazzone?” sorrise il Signor D
“Allora sappi che il colpevole sei tu, perché sei tu che li hai fatti così, ti ricordi? Solo che siamo andati oltre al “lavorerai con sudore e partorirai con dolore”, e non hai capito che la massificazione non paga più! Qui ognuno vuole la SUA vita, la SUA “Esperienza” come dicono quegli aborti che hai creato per fare marketing.” Ridacchiò e riprese
“Io, a differenza tua, mi sono modernizzato, sono al passo coi tempi. Tu continua a lavorare su comandamenti e principi validi per tutti, io no!”
Il vecchio rifletté per un istante.
“Quindi, tu stai cercando di dire…”
“Dai che ci sei, Nazareno.” Incalzò il Signor D.
“Che non vuoi più conquistarteli ma che stai cercando… insomma stai creando…”
Il Signor D sorrise, annuendo, e completò la frase.
“Il loro inferno personale.”
E buttò giù il bicchiere di Single Malt, ormai caldo come gli inferi.