mercoledì 4 novembre 2020

Storia di Poste, efficienza e divinità varie

La mattinata inizia nel più rompicoglioni dei modi, e cioè con l’estrazione, dalla cassetta delle lettere, di “strisciata” postale in cui mi si informa che un cazzo di postino che pensa che il mondo giri attorno al suo culo ha pensato bene di passare a metà mattina per consegnarmi una raccomandata. Non trovandomi, in quanto stranamente accomunato a quella piccola percentuale di lavoratori che a metà mattina sono in un ufficio, ed evidentemente incapace di apprezzare la bellezza di Viale Certosa all'altezza di Musocco ha optato per non ripassare per quei luoghi e, invece, farmi rompere il cazzo a me per andare a ritirarla nel prestigioso ufficio postale di Viale Monte Ceneri. 

Dato che col cazzo che ti scrivono chi ti ha così tanto raccomandato, e nel perenne dubbio di dover dei soldi a qualche istituzione, mi reco presso il succitato ufficio, affrontando il forza 9 che spira in Monte Ceneri che, a saperlo, col cazzo che prendevo il 14 e venivo bordeggiando di bolina.

Entro condividendo la simpatica bussola a porte automatiche con due signore. Qual è mio costume cedo loro il passo e anche il tasto della macchinetta distributrice di biglietti che, alle 10 della mattina, mostra già evidenti segni di usura, stante l’ufficio ricolmo di astanti.

Evidentemente qualche importante funzionario delle Poste ha ricevuto in regalo per Natale il calendario dell’Arma (sempre apprezzato) e quindi si è accorto che, fuori dal Ministero, è il 2020. A riprova di ciò la macchinetta elargisce biglietti specifici a chi deve solo ritirare plichi (il mio caso) mediante ostensione del cazzo di codice a barre presente sull’altrettanto cazzo di “strisciata”.

Vengo ricompensato con un magnifico “020” che, stante lo sguardo atterrito delle signore incontrate in bussola, che hanno recuperato numeri a tre cifre mentre il tabellone mostra che stanno servendo il 2, mi illumina il viso essendo, proprio in quel momento, servito il numero 12 della mia particolarissima e prestigiosa fila.

Trovo pure un posto a sedere e mi godo l’alacre lavorio dell’addetta allo smistamento dei richiedenti plichi, che, indefessa, mi è già giunta al cliente 014.

E qui il dramma.

Un giovanotto dotato di giubbetto finta pelle e occhiali da sole, rigorosamente sul naso nonostante l’interno, si avvicina alla collega di fianco a quest’ultima e, adducendo missioni su Marte, smascheramento di trame terroristiche internazionali o checcazzonesoio, asserisce di aver perso la chiamata del suo numero e chiede gentilmente di essere servito lo stesso.

La stronza (e mi limito per rispetto dell’universo femminile) lo guarda con quello sguardo pieno di voglia di fare e di perenne ricerca di sfide lavorative che hanno solo i veri impiegati postali e, approfittando della felice partenza del numero 014 allo sportello di fianco dice:

“Chieda alla mia collega qui”.

E questa, preposta al mio servizio, gli dice pure: “faccia vedere.”

Io comincio a citare una litania composta dal semplice accostamento dei santi più noti con gli animali da cortile e domestici presenti sul territorio nazionale.

Ovviamente il giovanotto non deve fare una raccomandata o comprare quattro francobolli, bensì spedire ai quattro angoli del globo una serie di documenti fiscali da vidimarsi e processare a nome del nonno, defunto, e di cui è in possesso di regolare delega in sanscrito antico e passaporto emesso dall’Impero Austro Ungarico.

La stronza del ritiro plichi non batte ciglio, si toglie il maglioncino dolce vita, fa due flessioni sul pavimento per riscaldarsi e prende in mano la pratica.

Io, intanto, sono passato ai santi minori e, di converso, comincio a citare fauna africana, non più solo per semplice accostamento di nomi ma anche adducendo pratiche di scambio a carattere sessuale tra i primi e i secondi.

Il giovanotto paga il conto in Talleri di Maria Teresa, pretendendo il resto in criptovaluta da addebitarsi sul suo portale di online trading, pratica semplicissima che la monocellulare di fronte a lui esegue con immutata cortesia in soli 32 minuti.

Fatta anche questa il neurone che stava rimbalzando impazzito in quel gran spazio vuoto sito all’interno delle orecchie dell’impiegata ha un inspiegabile momento di concentrazione e riesce a far dire al suo involucro umano la frase: “Ha altro?”

L'altro, erede di generazioni e generazioni di meretrici di bassissima lega, estrae un altro plico valutabile sui 24 kg e dice. “Si ci sarebbe anche questa, è l’atto di cessione dei nostri possedimenti lunari al governo non riconosciuto della Transnistria, ha problemi se è tutto scritto in gaelico?”

La deficiente sorride, e carpisce il plico.

Prima di arrivare ai Paleocristiani e alla fauna australe inganno il tempo immaginando fantasiosi accostamenti tra i santi più recenti e animali che ne completino il ruolo nell’agiografia cristiana, Padre Pio con un picchio, Don Bosco con l’orso marsicano cui hanno appena confermato il licenziamento, Madre Teresa di Calcutta, una vacca sacra e un toro che ha perso i bifocali.

Dopo un’ora e mezza di questo delirio una cafona illetterata, vestita di cenci e con un forte accento calabro-cubano, qualificandosi come direttrice si palesa alle spalle della deficiente che sta ancora servendo (ma non nel modo che io ho augurato ad entrambi) il giovanotto e la apostrofa con stupore “Ma tu devi fare il ritiro plichi, che stai facendo!?

L’ameba bipede trasalisce, la collega stronza infida e bastarda che l’ha mal consigliata finge indifferenza in misura tale da prestarsi a ricoprire, con la sua faccia da cazzo, una famosa opera del Moravia e, fortunatamente, la cosiddetta direttrice, dopo un’ora e quaranta di disservizio continuo, ripristina altro sportello a servire per il ritiro plichi.

Qui, essendosi comprensibilmente esaurita la lista di quelli che aspettavano tra lo 014 e lo 020 (tra scocciati, impiccati e semplici dispersi), passo subito, ritiro una cazzo di busta del Comune di Milano e me ne esco.

Combattendo contro il vento estraggo i fogli dal plico e scopro, con soddisfazione, che il Comune di Milano che garantisce la gran qualità di vita, blocca il traffico di domenica, postula il divieto di fumare mentre aspetti un cazzo di tram ed esige pagamenti per aree cittadine da percorrere in macchina grazie a tutte le tasse che già pago, si prende un intero foglio, UNO INTERO, per scrivere il destinatario della missiva.

Do il colpo finale alla mia opera, iniziando da Cirillo e Metodio per proseguire via via a Firmino, Ildefonso, e Cutberto Mayne martire, spaziando, al contempo, dal licaone ai protozoi.

Fuori il vento è calato, per strada solo un vecchio e un cane randagio.

Il vecchio mi si avvicina e mi mette una mano sulla spalla. È San Pietro.

“Ingegnere” mi dice, “non è che abbiamo un filo esagerato? Ci sono state delle lamentele, sa?”

Io mi limito a riassumergli l’accaduto.

Il pilastro della Cristianità mi ascolta. Quando finisco annuisce pensoso, tira fuori una Marlboro dal cappotto e se la accende.

Dà una boccata, strizza gli occhi e fa: “Sa che c’è? Non ha mica torto”.

Mi sorride, prima di sparire nel nulla, alza la mano con la sigara tra indice e medio e dice “ci si vede”.

Una risatina chioccia mi fa girare, è il cane.

Mostra i denti, mi strizza l’occhio e dice “non credo proprio”.

E sprofonda negli inferi.