giovedì 17 novembre 2011

Il senso della Vi

Guardali, tutti lì appesi che mi sorridono, aspettate e vedrete, cari amici.
Cosa mi è toccato fare per tornare a respirare, da esiliato della vita, persona inesistente, dimenticato.
E’ per questo che mi sono inventato questa cazzata, perché sapevo già che in un mondo che rifugge il normale per paura di ammetterselo bisogna uscire dall’ordinario per avere attenzione.
Proprio così, godevano come imbecilli quando gliel’ho detto; figurarsi! Il più scemo di questi rimbambiti (che poi il rimbambito sarei io che ho 78 anni, non loro che hanno il cervello in zuppa a trent’anni!) continuava a dire “Fico, fichissimo!” quasi fossi stato una sciarpina di seta.
Ma sono scattati subito eh? E figurati, un’occasione così quando si ripresenta?
Mi hanno fatto qualche domanda, ma mi ero preparato. Sono rimasti di stucco quando gli ho fatto vedere che ero allenato! Eh si, anche un bavoso di settantotto anni, dico sette-otto, poteva essere allenato, e soprattutto nelle robe giuste: saturazione sopra 100, battito regolare, tono muscolare fuori dalla norma per l’età.
Mi han fatto pure parlare con lo psicologo, ‘sti fessi, come se non mi fossi preparato! Mi ero letto tutto il Durkheim, due volte! E la mia brava psicologhina mi faceva le due domandine che mi aspettavo, proprio lì, come due caciottine fresche da mangiare.
Era tutta sorridente e rilassata, poi, quando la sua “lettura” della questione era rientrata nelle sue capacità di comprensione, come da manuale. E “fico, fichissimo” ancora più pompato,‘che non vedeva l’ora di dare la notizia alla stampa!
Son venuti i giornalisti, son venuti. Tutti a cercare il “pezzo di colore”, l’occasione per scrivere qualcosa che fosse finalmente pubblicato. Certo una notiziola piccola, ma pur di distrarre i lettori da fatti ben più importanti che non si possono scrivere meglio dar risalto al nonnino paracadutista.
Tutto sapevo, tutto. Anche il momento in cui “Fico, fichissimo” mi avrebbe tolto la parola per dire le sue quattro cavolate sullo sport, sul “non mollare”!
L’avrei potuto scrivere in busta chiusa e consegnarglielo dopo. Le solite corbellerie di chi non vuole andare in profondità, di chi tace per non sentire, neanche se stesso.
Abbiamo fatto le foto, gli ho pure messo i ditini a V, come voleva “fico”, che sorrideva gonfiando il petto caso mai la foto fosse finita nelle mani giuste e – finalmente – avesse avuto anche lui l’occasione della vita. Quella che faceva diventare tutto bello.
Bello questo vento, me lo aspettavo più freddo, ma meglio così no?
La tuta non è così scomoda, e non stringe “lì” dove diceva “fico” dandomi di spalla, alla “tra noi uomini veri”.
Povero idiota, c’ha trent’anni e meno voglia di cambiare il mondo di Senise, che ne ha ottanta e gira con il pannolone, ma che vorrebbe essere sulle barricate come nel quarantacinque, che la mira ce l’ha ancora buona dice.
Chiacchiere da Bar, dove siamo relegati quando ancora riusciamo a raggiungerlo. E lì ci si da ai nostri vizi: dalle carte, alla settimana enigmistica, al vino giù giù a perdersi fino al pensare. Roba da sballo vera, mica le schifezze che si cacciano nel corpo i cosiddetti giovani!
Eh pensare. E’ bello ma fa male., se ci sai fare. Toh, la rima.
Se ci sai fare ti fai le domande, mentre pensi. E ti chiedi dove siano finiti tutti. Mica quelli morti, che si sa che o sono tre metri sotto o settemila sopra, secondo le credenze che uno ha. No, dove sono finiti quelli vivi, o biologicamente tali.
Si comincia dai parenti, che svaniscono come i titoli di coda di un bel film. Quando anche l’aiuto truccatore non lo vedi più cominci a capire che sei diventato vecchio, anziano, socialmente fastidioso.
E, contemporaneamente, si innalza reciprocamente il tasso di presenza delle sanguisughe: i politici prima di tutti. Vengono a trovarti con le telecamere di fianco, mai senza. Ed è un tripudio di “Ma che belle signore!, “Sempre arzillo il nonnetto” e cagate simili. All’ultimo che è passato (o il penultimo chi se ne frega) gliel’ho detto: “quanto mi da?”
Quello sorride e fa “Come scusi?”- E io, senza sorridere, “Vuole il mio voto no? Quanto è disposto a pagarmi per averlo? Me lo dica che facciamo il contrattino e lei se ne va a mani piene, che almeno la gita dai vecchi le ha dato qualcosa.”
Niente, neanche il coraggio di accettare l’offerta. Macché.
Si è girato verso Bonelli e ha buttato tutto sul ridere, o peggio ha cominciato anche a parlare di “socialità” e di “ bene della comunità” e “riscoprire i valori antichi”.
Povero scemo, che, se ci stava, pagavo il giro al Bar Grande, magari brindavamo pure alla sua salute, hai visto mai?
Schiavi, ecco cosa sono. Doppiamente perché pensano che gli schiavi siamo noi, che loro ci “governano”. Come se non sapessero che sono solo un’altra parte del formicaio, né peggio né meglio, incastrati come tutti gli altri a portare la loro briciolina.
Formiche? Mica vero. Chissà chi è stato il primo a dire che da quassù sembriamo tante formichine. Uno del 1800, sicuro. Uno che non aveva mai visto le foto aeree, satellitari o gugolmeps, come si chiama.
Guarda là: i bambini escono da scuola. Speriamo c’abbiano una maestra brava, di quelle che ancora ci credono. Che gli insegni mica solo addizioni e accenti ma che imparare è bello. Che è l’unico fuoco che alimenta il pensare!
Come diceva il Dante? “Fatti non foste a viver come bruti!” la più bella bestemmia mai scritta.
Almeno per quella chiesa che ci vuole tutti addormentati.
Non sono addormentato, e ti ho visto che mi fai segno, ma non tocco la maniglia. Sgomentati pure, pirla.
Siamo alla quota giusta, qualcuno ha già aperto. Io no.
Tanto giusto il prete ci mancava, e invece eccolo lì puntuale, a braccia aperte e il sorriso stampato sulla faccia. Porco Giuda. L’unico che non ci era cascato del tutto; m’ha fatto sudare eh? Quelli lì, quando hanno l’idea che gli stai scappando dalle grinfie, che li stai fregando, vengono fuori d’istinto. Non mollava, non ci credeva al vecchietto che voleva far vedere quanto valeva, che sognava un momento di notorietà. Peggio della Gestapo, mica perché l’ho conosciuta eh, ma me l’ha raccontata il Villani. Sette giorni a Villa Triste che si vedono nelle unghie mai più ricresciute e nella voce, ogni volta che parla.
Chi ha conosciuto le infinite bassezze dell’uomo si porta dentro una ferita che non si chiuderà mai. Un peso che ogni giorno ti porta giù.
Ma qui siamo ancora in alto, secondo me a 2000. Potrei ancora tirare, ma perché?
Paura non ne ho, neanche il prete è riuscito a instillarmi il diavolo della morte, che di solito gli riesce bene con tutti. Ho fatto il finto tonto, tanto dovevo solo copiare da “fico, fichissimo”.
Alla fine ha mollato. Non c’ha creduto del tutto, questo lo so, ma non è riuscito a fottermi, e questo lo sapeva lui.
Sulla porta l’ho baciato, così rispettiamo la loro tradizione. Se n’è andato via con gli occhi cattivi: un’anima in meno in controllo, una pecorella in più che si faceva i cazzi suoi.
E difatti continuo a farmeli. Lo so, lo so dov’è la maniglia di emergenza. Non fatemi gesti, che tanto ho capito. Voi no eh?
Sembrate il professore. Eh si, anche lui mi sono dovuto sorbire, per una volta attento.
Certo, c’è da capirlo. Non si può vivere una vita assillato dai problemi dei vecchi. Tanto la malattia è sempre la stessa: la vecchiaia, che noi ci sforziamo di curare prolungandola. Così il professore, per una volta, voleva capire.
Mi ha fatto gli esami, per vedere se rientravo in qualcuno degli schemi che s’è imparato a scuola. Niente, non è riuscito neanche a trovare una pillola giusta, questa volta.
Mica come la Trancani, che ogni volta va a piangergli la sua solitudine, dissimulata in forma di dolori, di paure di “qualcosa di brutto” e se ne torna a casa carica di belle parole e scatolette prese in farmacia; tanto per contribuire economicamente al sistema.
Via così, veloci, che sono un medico; mica un’assistente sociale o vostro nipote! Uno alla volta ma max venticinque minuti, prego qua la ricetta, che il tempo vola.
Anch’io volo, e il campetto è sempre più vicino.
Perché lo faccio? Boh, tanto ormai è troppo tardi per tirare. Cosa fatta capo ha, diceva mia nonna.
Roba solida, venuta su in campagna che non aveva paura di niente, neanche dei tedeschi della Wermacht, tanto per capirci.
L’ho fatto per la nonna ecco, perché quando se n’è andata ha aspettato a fare la pasta, se no si buttava tutto. E poi è salita in camera, e a noi nipoti ha detto solo “allora io vado”.
Così, serena, senza paure o pianti, ‘che tanto il senso della vita, della sua, l’aveva capito e aveva capito che c’ha un fine, di nome e di fatto.
Mica i piagnistei che mi toccano ogni giorno, di vecchi spaventati perché la morte non rientra nel giro del mondo attuale. Morire non fa “fico, fichissimo”. E poi non consumi più, non chiedi più mutui (che tanto dopo i sessanta non te li fa più nessuno lo stesso), non contribuisci al benessere sociale. Morire non è bello, soprattutto se non hai ancora provato il calcio in 3D!
Questa si che è vita!
Poi però tutti lì a farsi domande, indire convegni e partecipare a tolc-sciò per discutere sul “senso della vita”.
Banda di idioti. Come se non si sapesse.
Ecco, potevo lasciarglielo scritto, ma una lettera avrebbe sicuramente causato domande e – forse – qualcuno si sarebbe accorto del mio trucco.
E allora ve lo dico adesso, che sto ritornando alla terra, nel vero senso della frase, sempre più vicina, altro che formiche.
Volete sapere qual è il senso di questa cosa che chiamiamo vita? Semplice! Ecco la rispostona al quiz mega milionario, quella che farà felice la massa:
“il senso della vi…”.

Da "La Repubblica" del 13 novembre 2011:
A 78 anni si lancia da 4000 metri
 ma il paracadute non si apre
L'uomo non è riuscito ad aprire completamente il paracadute forse a causa di una manovra errata.