giovedì 26 marzo 2020

Cumulonembo Kid

Cumulonembo Kid
Il pianeta Godons era proprio un bel pianeta,
Non che avesse caratteristiche particolari rispetto ad altri, solo che ci si stava bene: le persone erano educate, contente della loro vita e felici di quello che avevano, istruzione e sanità pubbliche buone e gratuite, un mercato del lavoro difficile ma resistente, con aziende che prosperavano, anche nell’export verso altri pianeti, e un discreto livello di innovazione.
Era anche un pianeta democratico, dove chiunque poteva esprimere la propria opinione o entrare in politica.
Un brutto giorno, il più chiunque dei chiunque, si svegliò male, perché aveva dormito molto peggio.
Aveva avuto un incubo in cui le sue aziende, ne possedeva molte, ma qualcuna era più azienda di altre, i suoi debiti e, soprattutto i suoi molti crediti in favori e denari spesi verso certi politici compiacenti, sarebbero stati svelati.
E lui sarebbe finito in galera.
Non essendo molto intelligente ma parecchio furbo (che non è proprio lo stesso, e nemmeno una qualità) si trovò a pronunciare, da solo ma a voce alta, parole che rimasero come pietre nella storia del pianeta:
“Adesso entro in politica io, così mi salvo il culo!” 
E, detto fatto, investì denaro, risorse e mezzi per creare un partito politico (Lui essendo il capo) che convincesse le persone. Usò tutte le qualità di cui era dotato, e cioè menzogne, falsità e ricatti, e ci riuscì.
Una volta raggiunto il potere fece in modo di far emettere leggi che, appunto, gli salvassero il cosiddetto e che gli permettessero di salvarlo anche in futuro, anticipando le malefatte che aveva in mente.
Cosa ancora peggiore favorì e moltiplicò l’ascesa di altri chiunque a ruoli importanti, fossero il ministro di Grazia e Giustizia piuttosto che il consigliere d’amministrazione di una partecipata.
In breve il Pianeta (cui aveva perfino fatto cambiare il nome in SuperextraChiunque X) si ritrovò in rovina e disgrazia, incapace di reagire. Soprattutto perché, per colpa del “chiunquismo” le conversazioni ed il pensiero erano ormai ridotte a stupidaggini, per lo più alimentate da superficialità e odio. 
I coniugi Crxyvztyx, timorosi della situazione, decisero che il Pianeta non presentava nessun futuro per il loro unico figlio, Cesarino, e - contando sulle loro capacità di scienziati di prim’ordine, piuttosto che sulle loro possibilità economiche essendo tutti e due precari dottorandi universitari in attesa di riconferma annuale per la 36ma volta - progettarono e costruirono una navicella per inviare Cesarino sul pianeta Sperumm, a molti anni luce da Godons.
Non senza una lacrima inserirono il piccolo Cesarino (aveva una settimana Godoniana, quindi circa 6 mesi terrestri) nella navicella e premettero il pulsante di avvio.
La navicella schizzò nello spazio a velocità porcalocatronica e avrebbe sicuramente raggiunto nei tempi previsti Sperumm, non fosse stato per l’incidente che avvenne durante l’attraversamento dell’orbita terrestre.
Qui i sistemi di bordo individuarono lungo la traiettoria un satellite terrestre e, nel tentativo di fargli cambiare posizione, lo contattarono via radio.
“Siete sulla nostra traiettoria! Spostatevi immediatamente!”
“Buongiorno! Grazie per aver contattato il satellite Fassuebb! Vi informiamo che la chiamata potrà essere registrata per motivi di sicurezza e per finalità di miglioramento del servizio di Customer Care.”
“Dovete spostarvi”
“Per comunicazioni circa il nostro lavoro premere 1, per comunicazioni sul colore del satellite premere 2, per comunicazioni circa il freddo cha fa quassù premere 3, per comunicazioni circa la nostra posizione geostazionaria premere 4”
“Quattro! Quattro!”
“Se ritenete che la nostra sia una gran bella posizione premere 1, se volete ricevere un selfie dalla nostra posizione premere 3, se volete cambiare la nostra posizione premere 7”
“Sette! Porca di quella Eva, sette! Dai!!”
“Spiacenti, al momento non è possibile modificare la nostra posizione, se la conversazione è terminata premere 1, se volete parlare con un operatore attendere in linea”
Seguirono 25 minuti di ascolto di “Somebody to love” eseguita dal coro dei sommozzatori a cavallo della Marina, intervallata da un messaggio di attesa, volto a non far perdere la priorità acquisita.
Ormai una frazione di Parsec separava i due corpi quando, finalmente, la musichetta si interruppe.
“Buongiorno, parla l’operatore 98459284785436364986, come posso aiut…”
SBADABANGHETE!
L’urto fu tremendo, con risultati disastrosi.
Il satellite Fassuebb si disintegrò con conseguente perdita di linea in tutta Torino e nell’alto Canavese, che erano spiacenti, ma era per motivi indipendenti dalla loro volontà e sarebbero stati richiamati dal tecnico per l’appuntamento.
Ma peggior sorte toccò alla navicella.
Atterrò sulla Terra.
La navicella toccò terra proprio in Italia, per la precisione in Lombardia, tra Garlasco e Cascina Venturina, più o meno all’altezza del bivio tra via Sonno e via Maria Montessori. Ma grosso modo eh?
Lo schianto fu spettacolare; anche il rumore, ma, essendo le 10 del mattino, questo venne coperto dal trapano a percussione del Signor Grabelli, proprietario della cascina lì vicino e intento a sistemare la grondaia, che aveva fatto una nevicata che levati due mesi prima e rischiava di venir giù tutto.
La signora, invece, intenta a tirare la pasta in cucina, aveva visto il botto, e corse fuori facendo voci all’indirizzo del marito, che andasse a vedere.
I coniugi Grabelli, attempati agricoltori locali, pensarono proprio che fosse un dono mandato dal cielo, perché a fantasia non erano fortissimi.
Dentro quello strano coso (la navicella, anche se il Grabelli, sulle prime, avrebbe giurato che era la cabina di un John Deere del ‘78) trovarono, vivo, vegeto e anche parecchio carino, il Cesarino. E lo accolsero come il figlio che avevano sempre voluto.
“La so.” diranno i lettori più arguti tra voi, immaginando il proseguire di questo scritto: Cesarino che viene allevato dai Grabelli, che scoprono i suoi superpoteri e lo scongiurano di non usarli per non diventare un diverso e per non approfittarsi degli altri, lui che studia e cresce fino a diventare un onesto lavoratore trasferendosi in città ma che, nel momento del bisogno, si trasforma in supereroe e combatte per la salvezza dell’umanità.
E invece no.
In primis perché il Cesarino a scuola era una bestia, la Rosanna (Malvezzini in Grabelli) che aveva fatto le magistrali e pensava che sarebbe diventata maestra ma poi aveva conosciuto il Pino (Grabelli Giuseppe fu Giovanni), sudava sette, otto o anche nove camicie a cercare di fargli mandare giù la consecutio temporum, il teorema di Pitagora o anche soltanto il ruolo della barbabietola da zucchero nella ricerca sull’Emilia Romagna. Ma niente.
Il Cesarino rimaneva beato nella sua ignoranza; unica eccellenza, ma per davvero, l’italiano. In cui aveva una padronanza di forma e contenuto che fioccavano i nove e pure i dieci, e che gli aveva salvato la ghirba (scolasticamente parlando) per i 13 anni di scuola dell’obbligo.
In secundis perché il Cesarino i superpoteri li aveva, ma erano parecchio strani e, diciamocelo, anche di applicazione non immediata fosse stato proprio necessario salvare l’umanità.
Parlava con gli animali, nel senso che comunicava con la mente e questi rispondevano pure.
A volte, preso su com’era da mille pensieri, gli comunicava anche con la voce, che faceva un effetto strano.
Il Grabelli col ciufolo che gli diceva di non usare un superpotere che tornava così comodo, anzi.
“Cesarino, va che la biancona è andata di nuovo in fondo al podere a mangiare la rucola del Giorgetti, che poi quello viene e mi si attacca ai maroni per due ore. Dille di tornare indietro.”
E Cesarino, pronto, comunicava col bovino che, non così prontamente per la verità, se ne tornava mesto verso altri pascoli.
“Cesarino, dai che siamo sotto Natale, dì a quel pistola del tacchino che non faccia storie, che qui siamo una grande famiglia e ognuno c’ha le sue competenze, e che venga fuori che è da ieri che lo cerco.”
E via così.
Gli umani, a scuola, in paese, nulla potevano presumere di questo potere, anche se qualche amichetto aveva notato che il Cesarino massacrava tutti a Uno! se c’era un gatto o un cane intorno.
Non volava, cosa per cui aveva solidarizzato con tutte le galline, ma faceva dei balzi enormi, tipo due - tre chilometri, anche quattro in assenza di vento o in altura.
E poi il potere grammaticale, che era il suo forte.
Non appena qualcuno scriveva o, peggio, pronunciava una sgrammaticatura al Cesarino gli partiva un forza invisibile che neanche il biopresto della pubblicità e si materializzava in uno sganassone al malcapitato e una correzione automatica come quella del windows sul testo.
E questo era stato notato, soprattutto a scuola, ma nessuno ne aveva saputo attribuire l’origine, tanto meno a quella bestia del Cesarino. Piuttosto ci si chiedeva se la Professoressa Cegnar, quella di italiano, non fosse un essere soprannaturale extraterrestre, dato che lo studente che aveva ricevuto lo schiaffone manco l’aveva vista muoversi dalla cattedra.
La Rosanna aveva avuto un po’ il dubbio, ma quello era pure sempre il suo bambino e allora andava bene così. Certo, tutti quei dieci… mah!
Così, finiti gli studi, un bel giorno d’estate, il Cesarino era lì nell’aia a cazzeggiare coi suoi amici.
Parmenide il maiale, Socrate il gallo, Anassimandro il mulo, Eraclito il cavallo e Platone il bue (sì, parlava spesso dell’operazione, anche se diceva di averla presa con filosofia).
L’idea dei nomi era della Rosanna, che sperava così di farglieli almeno entrare in zucca, perché il postino, che aveva un cugino della zia che stava a Roma e il suo vicino del piano di sotto era il padre di uno che lavorava all’Istruzione, le aveva detto che sicuro alla maturità sarebbe uscita filosofia e sarebbero stati dolori.
“Ma” grugnì Parmenide “Adesso che sei diplomato, che prospettive hai?”
“Si, quali sbocchi?” aggiunse Anassimandro, che se la tirava da intellettuale perché si era mangiato tutto “Armi, eroi e popoli” quando Cesarino aveva finito le medie.
Platone, che sosteneva la dottrina delle idee eterne, universali, separate dalla realtà sensibile, era sempre molto razionale, per cui, sarcastico, chiosò: “Sei nato contadino, farai il contadino.”
A quelle parole, più che altro muggiti, Cesarino scattò in piedi; con uno sguardo torvo inquadrò i suoi amici, uno a uno.
Poi disse:
“Io sono venuto dal cielo, e il cielo mi darà l’ispirazione!”
In lontananza vide stagliarsi nel cielo una nube a forte sviluppo verticale, che si genera in condizioni di instabilità atmosferica e si presenta grosso modo come una torre dalla base piatta e relativamente non molto alta dal suolo (mediamente intorno ai 2000 m alle medie latitudini) che si erge per alcuni chilometri, sino ad arrivare al limite della troposfera ovvero, alle medie latitudini, intorno ai 12000 m (meno ai poli e di più all'equatore).
“Ho deciso!” disse Cesarino, “Io sarò Cumulonembo Kid!”
“Figo! Un supereroe!” disse Parmenide.
Eraclito, a causa del suo stile oracolare e della frammentarietà con cui si esprimeva, si limitò a dire: “Rifuggi ogni privilegio, fonte d'invidia, restando a casa tua e accontentandoti di quel poco che hai”. Ma non venne capito.
“E chi combatterai?!” Chiesero, quasi in coro, gli animali.
“L’ignoranza!”
“A posto stiamo” disse Platone.
A quelle parole Socrate alzò la cresta: “Tu e la tua razionalità! Manco sai cos’è l’amore!” Che, francamente, dirlo a Platone, boh.
Comunque, già il giorno dopo Cesarino, forte della sua risolutezza, partì verso Milano con la corriera della mattina.
Ormai deciso a cambiare il mondo lasciò fluire tutta la sua energia grammaticale che, già sulla corriera, fece diverse vittime.
Il Bonetti, l’autista, aveva in qualche modo capito che qualcosa non quadrava e, al terzo sganassone, preso per un “Salgo la signora e ripartiamo”, pensò bene di tenere la bocca chiusa per il resto del tragitto, che se no si finiva nel fosso con tutta la corriera.
E Cesarino notò la cosa… 
A Mliano, con in tasca una lettera di presentazione del Raccagni, il suo Professore di lettere e filosofia, si presentò bello speranzoso alla redazione di un importante quotidiano, il Serale della Corsa, con la speranza di farsi assumere.
“E il Raccagni l’ha mandata qui da me?” gli disse, tra lo stupefatto e l’irato, il redattore capo Vercetti.
“Ma lo sapete, lì al paesello, che sono anni che le correzioni le fa automaticamente il computer?!”
“Oh, sì.” disse Cesarino, “Ce lo abbiamo anche noi un computer, al paesello.”
“Ma corregge l’ortografia, non i concetti o gli errori di grammatica…” continuò.
“Senta” disse Vercetti, appoggiando i gomiti alla scrivani e sbuffando “Sa cosa ci dico?”
Sdeng! Uno schiaffone in faccia!
“Ma cosa fa!!” Urlò l’uomo a Cesarino “È matto!?!?”
“Ma, veramente… io non mi sono mosso da qui.”
E aveva ragione, e anche il Vercetti se ne rese conto, cosa che lo fece stupire ancora di più.
Stava per riprendere il discorso, ancora mezzo stranito dallo schiaffone, quando entrò Teotozzi, della redazione sportiva.
“Capo! Di là si menano!”
“Cosa!? Perché!?!”
“Dice Muratti che Breroni l’ha colpito mentre lui non guardava, e adesso c’è la rissa!”
Vercetti si catapultò fuori dal suo ufficio, non badando al fatto che Cesarino lo seguisse.
In redazione sportiva era un macello, carte che svolazzavano, urla e, in mezzo alla sala, un groviglio di due tre omaccioni, difficilmente riconoscibili per come erano appiccicati.
“Cosa succede qui!?” gridò Vercetti, “siamo matti, siamo!?!?”
I tre si sciolsero: Muratti, Breroni e, incredibilmente, l’Audini, redattrice di tennis e vela.
“Vi sembra il modo di lavorare?! Chi ha incominciato!?”
Tre dita si alzarono: Muratti indicava Breroni, questi puntava la Audini e l’ultima proprio Muratti.
“Lui mi ha tirato uno schiaffo!” disse Muratti.
“No, è lui che ha detto che lo schiaffo gliel’ho dato io e mi ha dato un pugno!”
“E tu?” chiese Vercetti alla donna.
“Io ho preso un ceffone solo perché gli ho detto che sarebbe meglio se smetterebbero!”
Paff! Un cazzottone, materializzatosi dal nulla, mando l’Audini (non fortissima sui verbi) a sedersi sulla poltroncina qualche metro dietro di lei!
Mentre tutta la redazione, a bocca aperta e immobile, si chiedeva cosa fosse successo, Vercetti si voltò verso Cesarino. Con la faccia di uno che ha capito tutto.
“Guarda, non so come fai, ma dire che è una coincidenza mi pare una stronzata. Tu, da domani inizi qui, in prova.”
Cesarino non disse nulla, ma sorrise.
E, la mattina dopo, prese servizio al giornale.
L’edizione del giorno dopo fu un capolavoro grammaticale e di contenuti.
Infatti, al quarto ceffone preso non si sa da chi, anche i redattori più faciloni e distratti, notando che ad ogni schiaffone corrispondeva una correzione nel testo, si erano messi a scrivere con più impegno, stando attenti a non fare errori.
Incredibilmente, per qualcuno, ma non per tutti, lo scrivere con più attenzione aveva fatto sì che anche i concetti, i commenti e in generale, tutto la struttura dell’articolo fosse migliore, più accurata, evitando frasi fatte, concetti di comodo o rimandi a dichiarazioni di altri non ancora “baciati” dal potere di Cesarino.
“Sono molto contento” disse Vercetti, il giorno dopo, a Cesarino, nell’ufficio che gli aveva fatto mettere a disposizione.
“Ancora non ho capito come fai ma hai fatto proprio un bel lavoro.” continuò, “anzi, te ci hai fatto proprio un bel servizio!” e avrebbe pure riso della battuta se non fosse stato che
Sbaang!
Una manata invisibile lo colpì sulla nuca.
“Scusi!” si affrettò a dire Cesarino, che non è che riuscisse proprio a ricordarsi che, in certe occasioni, il super potere doveva controllarlo.
“No, no.” disse il capo, serio: “Hai ragione, devo fare più attenzione!” e se ne uscì massaggiandosi la testa.
Cesarino, invece, era un po’ allibito, ma soddisfatto.
In due giorni di esposizione agli strafalcioni e al mal pensiero delle redazioni il suo potere, invece di diminuire, era aumentato. Se n’era accorto la sera prima quando, rientrato nella stanzetta che aveva affittato in Viale Certosa, aveva sentito volare schiaffi, accuse e riformulazioni dei concetti espressi per tutta la sera, fino al quinto piano!
Ormai tutti, nello stabile, al giornale addirittura lungo il percorso casa lavoro, tendevano a esprimersi con più senso, ponderando le parole e i concetti, senza forse neanche capire perché ma era sempre meglio che prendere schiaffoni dal nulla.
E la cosa non finiva lì.
I redattori stessi, quando tornavano dalle conferenze stampa o, peggio, dalle interviste, raccontavano allibiti di come il tale o il tal altro, al quinto sganassone di fila, avessero poi rilasciato dichiarazioni tutto sommato ineccepibili, misurate e non più volte solamente a aizzare le masse o a invelenire l’ambiente, politico, sportivo o scientifico che fosse.
Anche in televisione, i consueti talk show si erano adeguati, dopo una mezz’oretta iniziale di botte da orbi, al tornare ad esprimere concetti fino ai “Mi scusi non intendevo interromperla, continui pure” o ai “nonnò, prego, prima lei che ne ha tutto il diritto e mi stava facendo un discorso interessante.”
I reality show, invece, una carneficina. Tanto che già si erano levate voci di protesta, per la verità molto serie e circostanziate, sull’opportunità di far vedere certi spettacoli al pubblico.
Insomma, sembrava quasi che il potere si impadronisse di quelli che erano stati “curati” da Cesarino, e che si espandesse. 
Tutti notarono la cosa, molti si limitarono a compiacersene, qualcuno, invece, volle indagare, capire.
Il capo della maggioranza della minoranza dell’opposizione governativa ma critica pur dichiarandosi solidale con il governo, insomma uno che non si capiva mai da che parte stava e soprattutto perché, indisse una riunione con i suoi più fidati collaboratori.
Un’ecatombe, perché quelli neanche a mazzate riuscivano a mettere in riga un concetto che non fosse, sostanzialmente, una stronzata.
Ma, solidi come rocce e stolidi come solo certi politici sanno essere, continuarono imperterriti a discutere, in un tripudio di cazzotti e ceffoni così numeroso che la famigerate cavallette bibliche, al confronto, sarebbero state quattro gatti nel mezzo del Sahara.
Alla fine, ormai potendo contare non certo sui più arguti, tutti stesi per terra, ma sicuramente sui più abili ad incassare, il senatore Giorgeo, il capo, riuscì a intuire dove indagare. 
La sera stessa si palesò al bar sotto la redazione del Serale della Corsa, e, forte dell’effetto calamita che tutti i politici, anche quelli che non varrebbe proprio la pena intervistare o citare, hanno sui giornalisti, cominciò a fare domande ai cronisti che passavano per bersi un caffè o un dito di whisky al tamarindo.
Capì.
Si acquattò dietro la macchina della scorta, perché senza la scorta lui non sarebbe andato neanche in spiaggia o a fare un giro sulla moto d’acqua col figlio, e aspettò che Cesarino, di cui si era fatto dare la descrizione, uscisse dall’ufficio. Prima però fece un salto all’edicola di fronte, ancora aperta.
Cesarino, ormai il beniamino di tutti colleghi (anche quelli cui, involontariamente, aveva fatto uscire il sangue dal naso) salutò tutti e, fischiettando, uscì e si incamminò verso Viale Certosa.
Improvvisamente Giorgeo gli si piazzò davanti, con fare minaccioso.
“Tu!” disse il politico, “Sei tu che stai rovinando il mio lavoro!”
“Quale lavoro?” si chiesero, stupiti, gli uomini della scorta, che stavano assistendo alla scena.
“B-buonasera…” Balbettò Cesarino, che non si aspettava quel tono, ma che gli avevano insegnato che, primo, si saluta.
“Macché buonasera e buonanotte!“ Urlò l’altro, “Spiegami come fai!”
Cesarino, che certo non era un ragazzo maleducato, capì che non era il caso di fare il finto tonto e non stette lì a perdersi nei “Fare cosa?” o “Mi creda io davvero…”
“È un mio potere.” rispose.
“Abbiamo i poteri qua!” Lo sbeffeggiò Giorgeo, rivolgendosi, come era abituato, ad un pubblico immaginario ma consenziente.
E continuò.
“Ha i poteri! Cosa sei: un supereroe?” ridacchio, ma si vedeva che era nervoso.
“Cosa fai, sfrecci? Impenni? Esclami ‘Porco dito’?” 
“No, correggo la grammatica, e correggo i pensieri.”
Giorgeo impallidì, capendo il senso di questa affermazione, per lui, semplicemente, la fine.
La fine del mondo che aveva contribuito a creare e alimentato, distogliendo attenzioni e riflessioni, limitando tutto alla “pancia”, al non ragionare.
Ma, soprattutto, la probabile, anzi certa, fine del suo stipendio.
Allora estrasse da sotto la giacca la sua arma finale: una copia de “Il Qualunquale” e una de “Svincolato”, due giornalacci che si alimentavano e propagavano nefandezze delinquenziali, e i cui redattori, da qualche giorno erano barricati negli uffici per tema di finire al tappeto ogni volta che aprivano bocca.
Cesarino vide quei giornali, lesse anche un paio di titoli, e sentì le gambe cedergli.
Una forza nuova, maligna, si stava impossessando di lui, lentamente e con cattiveria.
SI accasciò al suolo, incapace di resistere mentre sentiva Giorgeo parlargli con voce odiosa.
“Eccolo lì, il supereroe, eccolo che si piega alla forza del pensiero debole, del disimpegno dello sparaacazzismo vincente!”
La scorta, immobile, non sapeva che pesci pigliare e anche su, in redazione, Vercetti e tutti colleghi che stavano seguendo la scena dalla finestra erano immobilizzati dalla violenza di quella scena.
“Su!” Incalzò Giorgeo; “faccelo sentire il tuo pensiero forte e corretto, che magari sarà l’ultimo.”
Un lampo balenò nella testa di Cesarino.
Giorgeo sentì solo un grugnito.
Proprio mentre si stava voltando per capire chi o cosa lo avesse prodotto due zoccoli si piantarono con forza nel suo fondoschiena, spedendolo così in alto che neanche gli onori delle cronache lo avrebbero mai potuto raggiungere.
Parmenide, Socrate, Anassimandro, Eraclito e Platone erano lì, davanti a Cesarino che, liberato dal giogo di quei fogliacci, si stava lentamente rialzando.
“Ma…” disse ai suoi amici:” Come… come avete fatto?”
Fu Anassimandro a rispondere: “E che ne sappiamo noi? Eravamo in stalla tranquilli, abbiamo sentito il tuo grido di dolore e ci siamo trovati qui!”
“Devo avere” rifletté il ragazzo, “devo avere anche il potere di spostare le cose…”
“Quello viene comodo, alle volte” disse Socrate.
Ma non riuscirono a finire il dialogo perché, come impazziti, Vercetti e tutti i suoi colleghi lo attorniarono per abbracciarlo.
“Adesso però ci dici chi sei in realtà” lo ammonì bonariamente Vercetti.
Cesarino lo guardò, comprese nel suo sguardo tutti i presenti e disse:
“Io sono Cumulonembo Kid!”
Una pioggia di applausi ruppe l’emozione causata da quella frase, e poi fu un tripudio di “Viva Cumulonembo” Viva il Kid!”
Alla fine anche il maresciallo capo della scorta, ormai libero di esprimere pensieri compiuti e sensati gli si mise davanti; sull’attenti e salutandolo, disse:
“Cumulonembo Kid, lei oggi ha salvato la Repubblica!”
“Ma non lavorava al Serale?” chiese Eraclito: “Cos’è ‘sta repubblica?!”
“Poi, quando c’ho tempo, te lo spiego” rispose Platone.


Il Gatt Pack


Gatto Miciozzo era nato nel Bronx, anzi, nel buco più nero del Bronx. E aveva subito cominciato a cantare.
Perché cantare aiutava a dimenticare la dura realtà, fatta di risse per mezza lisca di pesce, piccoli furti ai danni della drogheria all’angolo e tante ciabatte tirate proprio nel bel mezzo di una performance.
Ma lui si era lasciato alle spalle tutto questo, soprattutto le ciabatte.
Ne era uscito.
Una sera, mentre stava eseguendo una serenata in Do minore per le gattine del sesto piano, si era fermata una macchina, e ne era sceso niente di meno che Cats Domino, un pianista importante, che aveva la sua orchestra e un programma tutto suo alla radio.
Cats ascoltò Gatto Miciozzo per una buona mezz’ora, giusto il tempo per fargli eseguire alcuni dei brani con cui si era conquistato il pubblico, come I Can’t Cat no (Satisfaction) e No Catwoman No Cry.
Poi, mentre scrosciavano i miagolii, gli si avvicinò e disse:
“Ehi micetto, ci vieni a fare un giro con me?”
Gatto Miciozzo lo squadrò e rispose “Sarai mica un pedro?” che era un modo di dire del Bronx per capire se il passaggio offerto si sarebbe risolto, come dire, a reti inviolate.
Cats rise e si presentò “Ragazzino, una voce come la tua merita meglio di questo! Sali, che andiamo in onda tra un’ora.”
Meno di dieci minuti dopo, nello studio Newyorchese della cAtBC, Miciozzo era a bocca aperta!
Tutti i grandi musicisti che aveva sempre e solo ascoltato alla radio erano davanti a lui: Charles Meowgus, Catthelonius Monk, John Cattrane. Tutti lì a vedere il nuovo acquisto con cui suonare!
Fu Dave Purrbeck a rompere il ghiaccio. “Hey Cats! Mi sembra un po’ acerbo il ragazzino qui, sei sicuro? Non vorrei fosse una giovane boutade!” In americano “Green boutade”.
Gatto Miciozzo, mentre gli altri sghignazzavano, si ricordò di tutte le sofferenze e le ingiustizie patite nel Bronx, si avvicinò al microfono e, con tono di sfida, disse “quando siete pronti.”
Fu un concerto memorabile.
Mentre fuori, in strada, nelle case, la gente impazziva ad ascoltare quella voce per radio i musicisti in sala, presi anche loro dal miracolo di quel gattino dalla voce suadente, si buttavano sugli strumenti per fare ancora meglio del loro solito.
Era nata una stella.
A fine sessione, mentre tutti si davano delle grandi zampate sulle spalle, Cats Domino prese da parte Gatto Miciozzo.
“Stasera hai fatto il tuo esordio, la gente se ne ricorderà, tu non dimenticarlo: tieni questo per rinfrescarti la memoria, te lo sei guadagnato”
E gli regalò un cravattino a farfalla verde, in americano “green bow tie”.
E, indossando sempre quel cravattino, Gatto Miciozzo scalò il successo.
Jam sessions, concerti, tour, e poi parti nei film, ruoli a teatro e, soprattutto, il tutto esaurito nei Casinò di Las Vegas.
Qui Gatto Miciozzo si tirava dietro la sua combriccola di amici: Bing Clawsby, Dean Miaortin, Peter Pawford, e Joey Whishop, con i quali sgattaiolava fino a tardi facendo notti pazze.
Valeva tutto: enormi sbronze, fumate di erba gatta, scassare suites di hotel per inseguire un gomitolo o vomitare pelo nelle piscine dei club.
Una bella sera che erano tutti a Palm Springs Bing prese Gatto Miciozzo e gli disse: “Ho trovato uno che balla, canta e fa spettacolo come un matto, andiamo a sentirlo?”
“Come no!” gli fa il nostro, “Prima però presentamelo, che se no ci imbamboliamo al tavolino e le micette mi inseguono per gli autografi.”
Allora presero la macchina (ovviamente una Jaguar) e andarono al Gatton Club, che era un famoso locale jazz di Palm Springs.
Bing aprì la porta dei camerini e si mise a chiamare “Dov’è Sammy!?”
Una porticina si aprì: “Sono qui”
Gatto, Bing e gli altri si infilarono nella stanza e… si bloccarono come gatti di marmo!
Sammy era un gatto nero!
Dovete sapere che, a quel tempo, in America, i gatti neri erano considerati diversi, come gatti di seconda o anche terza scelta.
Non potevano studiare, facevano solo i lavori più umili e, soprattutto, non era accettato il fatto che stessero insieme agli altri gatti.
Pensate che, nei locali dove li facevano entrare, e non ce n’erano molti, avevano pure le lettiere separate, come se la cacca fosse diversa!
Era un periodo molto duro per i gatti neri, lo chiamavano segregattazione, e mi piacerebbe dirvi che è tutto finito ma, purtroppo, c’è ancora qualche gatto in giro che giudica in base al colore del pelo.
Questi gatti qui sono tutti un po’ ignoranti e anche parecchio scemi, ce n’è solo uno buono: il gatto morto.
Allora Miciozzo si volta, prende Bing sottobraccio, lo trascina fuori e gli fa: “Ehi! Ma ti sei reso conto che quel gatto è ne…”
E si accorge che, invece di Bing, ha preso sottobraccio proprio Sammy!
Sammy però gli sorride e gli dice: “Grazie che sei venuto a sentirmi Gatto, vedrai che non ti deluderò!”
Comunque, Miciozzo e i suoi vanno a sedersi a un tavolino e non succede niente!
Gatto mormora “Ma com’è che nessuno viene a chiedermi l’autografo?” e si guarda in giro, a tutti gli altri tavolini sono seduti gatti neri, che lo guardano, in soggezione, e nessuno osa avvicinarsi al loro tavolo.
Il vecchio Bing, che era uno che la sapeva lunghissima, si volta verso Gatto e gli fa:” Hai visto? Tu che ti lamenti tanto delle fans, pensa un po’ che questi qui si vergognano a farsi fare l’autografo solo perché pensano che tu li giudicherai male perché sono neri!”
Miciozzo si era lasciato il Bronx alle spalle, ma non si era dimenticato di quando, con gli altri randagi suoi amici, se ne andavano al parco a vedere qualche bel pezzo di gattina, e si ricordava come queste li guardassero male, con disprezzo, solo perché non erano uguali a loro.
Allora si arrabbia e fa una cosa incredibile.
Va ad ogni tavolino, si presenta, gli dà la zampa e gli lascia pure un autografo!
Mamma mia, tutto il locale che applaudiva, mentre i suoi amici lo guardavano tutti orgogliosi di avere un amico così!
Poi si apre il sipario ed entra in scena Sammy:
 “Gattine e gattoni vicini e lontani ecco a voi Sammy Gattis jr.!”
Una roba incredibile!! Sammy cantava, ballava il tip tap, raccontava barzellette e imitava gli altri gatti cantanti! Insomma, era bravissimo.
Al tavolino di Miciozzo volavano solo complimenti, e si parlava anche del fatto che i tempi erano cambiati, che il colore del pelo non era più così importante e che, anzi, bisognava mostrare che si era tutti gatti, comunque.
 “Figuratevi” disse Dean Miaortin, “che in Piemonte, a Moncalieri, tutti i gatti sono neri!”
“Ma, è vicino a Racconigi?” Chiese Peter.
“Si, ma lì tutti i gatti sono grigi…”
“Ah! E allora a Carrù!?”
“Beh, lì…” stava per rispondere Dean, ma Gatto li interruppe con una zampata sul tavolo!
“Non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi.”
“Bella questa, dove l’hai sentita?” gli fa Bing.
“Me l’ha detta un siamese che conosco…”
Insomma, a fine concerto, questi quattro gatti erano lì, nel posteggio del Club, che aspettavano Sammy.
E chi si era attaccato a una bottiglia di Whiskers, chi fumava una sigaretta di erba gatta così lunga che se l’era fatta accendere da uno del comune vicino, chi sparava gattate a tutto spiano. E poi cantavano, in coro, standards tipo Smoke Cats in Your Eyes, o La Gattina Di Ipanema.
Quando è arrivato Sammy, il delirio!
Lo riempivano di zampate sulla spalla, gli facevano bere il loro Whiskers, un tiro di erba gatta, tanti abbracci e complimenti.
E, a un certo punto, Miciozzo zittisce tutti e gli fa:
“Sammy, se ti va, da questa sera tu sei uno di noi, che a noi non ci frega niente di che colore sei.”
A Sammy a momenti gli viene pure il nasino umido, come ai cani. Poi gli fa:
“Grazie, ma “noi” chi?”
Allora Miciozzo guarda i suoi amici, malconci dal bere, fumare, ridere e essere allegri come fessi, ma tutti artisti, partiti tutti da qualche muretto di quartiere a miagolare per fare innamorare le gattine del terzo piano, e tutti con il cuore di chi ha visto così tanto che il colore del pelo non gli dice più niente.
“Noi” si aggiusta il cravattino verde e dice serio “il Gatt pack!”
E tutti a ridere, matti come gatti, intonando un grande successo di Gatto Miciozzo.
Miao York, Miao York.