domenica 8 aprile 2018

Il tigrone degli orecchi






C’erano in India, qualche tempo fa, due bellissimi fratelli tigrotti: Azan e Azafat.
Erano due tigrotti proprio a posto, se la spassavano tutto il giorno nella giungla inseguendo bacherozzi e facendo agguati agli armadilli, ridendo come due matti.
Il papà tigre era spesso via per lavoro e quindi toccava a mamma tigre inseguirli per farli rientrare a casa e cercare di fargli fare i compiti.
Un brutto giorno però nella giungla dell’India dove vivevano i due fratelli tigrotti arrivò un temibile cacciatore, Gigetto il cacciatorino.
Era conosciuto in tutte le giungle del mondo per essere spietato e bassino, e infatti doveva il suo soprannome al fatto che, se l’uomo è cacciatore, Gigetto era cacciatorino.
Questo cattivissimo girava per tutte le giungle a catturare animali da portare via e vendere, agli zoo, ai circhi o a qualche matto che gli piaceva di tenere in casa animali selvaggi, così, come se fosse una roba divertente.
Gigetto aveva fiutato nell’aria i due tigrotti e, posizionate le trappole, si mise ad aspettare.
Azan e Azafat, che stavano inseguendo un farfallone gigante verde e blé, a scuola avevano saltato la lezione di evitamento trappole, perché quel giorno lì avevano la febbre e quindi:
 PLUFF e RI-PLUFF!
Ci cascarono dentro come due salamoni.
Gigetto si fregava le mani tutto contento: due bei tigrotti così gli avrebbero fruttato tanti soldoni.
E così Azan e Azafat vennero imbarcati su un cargo battente bandiera Balinese e portati in Europa; Gigetto vendette subito Azan allo Zoo di Brandeburgo, e tutti i visitatori rimanevano ammirati dal suo ruggito e dalla sue fierezza, e dicevano “mamma mia che bel tigrone c’ha il nostro zoo, guarda come si vede che è un animale pericoloso e assassino! Guarda che dentoni! Senti che ruggito!”
In realtà Azan ruggiva e mostrava i denti perché era spaventato e voleva la sua mamma e il suo fratellino, ma tanto chi lo capiva?
Azafat invece, quando si vide portare via Azan, diventò triste e silenzioso.
Stava in un angolino della sua gabbia e alzava a malapena la testa quando Gigetto e i suoi uomini lo mostravano a qualche compratore, ma nessuno voleva una tigre silenziosa e immobile. “Sembra un tappeto” disse a Gigetto il direttore dello Zoo di Mosca, e Gigetto digrignava i denti perché nessuno se lo voleva comprare.
Alla fine, anche per non stare sulle spese, lo vendette con uno sconto tremendo al Cavaliere Luigi Sparini, direttore del Circo Sparini, un piccolo circo che girava in provincia.
Gigetto fu contento d liberarsi di Azafat, mentre il Cav. Sparini aveva pensato che, male che andasse, avrebbe sempre potuto mostrare una tigre, anche se silenziosa e immobile, a gente che non sapeva neanche com’era fatta una mucca.
Così Azafat prese a girare l’Italia con il circo Sparini, sempre immobile, in un angolino della sua gabbia.
Da Rimini a Sampierdarena, da Ceresole a Vibo Valentia, il circo Sparini girava l’Italia in lungo e in largo, ma in ogni posto la visione della tigre creava più delusione che interesse.
“Ma non dovrebbe ruggire?” chiedeva uno spettatore. “Ma perché non mostra i denti” Chiedevano i bambini. E il Cav. Sparini pensava che forse sarebbe stato meglio liberarsi di quel tigrone inutile.
Una sera il Circo era a Peschici, nel Gargano in Puglia, e Rosa la cuciniera del circo stava preparando per la cena un piatto tipico: le orecchiette al pomodoro.
I bambini del circo, che come tutti i bambini di questo mondo mangiavano più con gli occhi che con lo stomaco, gridavano che ne volevano un bel piattone ricolmo, così Rosa preparò veramente TANTE orecchiette.
Risultato: i piattini rimasero pieni a metà, perché nessuno di quei fessacchiotti era riuscito a finire il suo.
A Rosa dispiaceva buttare via così tanto buon cibo, così raccolse tutte le orecchiette avanzate e fece il giro delle gabbie, per vedere se qualche animale voleva finirle.
L’elefante non le degnò neanche di uno sguardo, le scimmiette, solite scherzose, ne presero una manciata e cominciarono a tirarsele, il Leone rifiutò gentilmente e anche i cavalli voltarono il muso dall’altra parte.
A Rosa non rimase che spingere un piatto nella gabbia di Azafat, il tigrone.
L’odore delle orecchiette al pomodoro parve risvegliarlo e Rosa, a bocca aperta, vide Azafat finalmente ALZARSI dal suo angolino!
Pucciò il musone dentro il piatto, diede una prima leccatina e gli occhioni tigreschi si accesero! MAMMA MIA COM’ERANO BUONE!!!
SI sbafò un piattone di orecchiette così in meno di un minuto e quando Rosa fece per ritirare il piatto Azafat ci mise sopra il suo zampone e cacciò un RUGGITONE che si sentì in tutto il circo.
Il Cavalier Sparini, che se ne stava seduto dall’alta parte del tendone si alzò di scatto e chiese “Ma cosa succede!? Chi sta facendo l’imitazione della tigre!!”
Arrivò Rosa di corsa, ansimando. “Cavaliere! Cavaliere! È il tigrone!! GLI PIACCIONO LE ORECCHIETTE!!!!”
La voce si sparse in un minuto e tutto il circo si mise davanti alla gabbia di Azafat per vedere il loro tigrone ruggire come un matto, girando in tondo nella gabbia, finché non gli veniva portato un altro piatto di orecchiette. E tutti applaudivano, comprese le scimmiette.
Il Cavalier Sparini fiutò l’affare, e fece subito stampare dei grandi manifesti in cui si leggeva “Azafat! Il tigrone mangia orecchiette!”
Ma, per un motivo o per l’altro, la gente non capì a cosa si riferisse quel titolo e così, di bocca in bocca, si venne a pensare che Azafat, il tigrone del circo Sparini, mangiasse delle orecchie piccole, tipo quelle dei bambini.
Inutile dire che, la sera dello spettacolo, il Circo Sparini era tutto esaurito.
Tutti volevano vedere questo misterioso numero del tigrone Azafat; compreso il Sindaco in persona, che si era fatto accompagnare da due carabinieri nel caso ci fosse da interrompere lo spettacolo perché troppo pauroso o pericoloso.
I numeri del circo Sparini scorsero tra gli applausi, ma il pubblico non aspettava che l’arrivo del tigrone mangia orecchie, tutti volevano VEDERE!
Come Azafat entrò in scena tutti i bambini del pubblico si tapparono le orecchie con le mani! Nessuno voleva che il tigrone si mangiasse proprio le sue orecchie!!!
Azafat fece un paio di bellissimi ruggiti: uno in Si bemolle e l’altro in Re diesis, con un acuto un po’ strappato che però fece molto effetto sul pubblico.
Il Cavalier Sparini, elegantissimo in cappello a tuba e stivali neri lucidi, con il frak rosso fuoco , gridò “Fate entrare le orecchiette!” e tutto il circo ammutolì.
Dalla tenda apparì Rosa, tutta vestita da gran cuciniera indiana, con in mano un pentolone col coperchio.
Come alzò il coperchio nell’aria si sparse un buonissimo profumo di orecchiette al pomodoro e Azafat cacciò un RUGGITONE DEL CONTROCIUFOLO!!! Tanto che anche molte mamme e papà si misero le mani sulle orecchie.
E così, mentre Rosa gli faceva fare un sacco di esercizi Azafat si mangiò per benino tutto il pentolone, arrivando pure a leccare il fondo quando le orecchiette erano finite. E se ne uscì tra gli applausi fortissimi del pubblico.
EVVIVA IL TIGRONE DEGLI ORECCHI!!! EVVIVA gridavano tutti, e il Cavalier Sparini si inchinava commosso, carezzando il testone di Azafat che si leccava i baffi per pulirsi bene anche dell’ultimo rimasuglio di orecchietta al pomodoro.
Così, in quella serata trionfale, nacque la leggenda del tigrone degli orecchi.
Ed è una leggenda così famosa che, ancora oggi, quando i papà o le mamme vogliono fare un po’ di paurina ai loro bambini, si mettono dietro alle loro piccole orecchiette e gli sparano un bel GGRAAAUU! Alla maniera di Azafat.
E i bambini se la ridono come dei matti a farsi venire il brividino di paura dalla mamma o dal papà, perché sanno che tanto nessuno gli mangerà mai le loro belle orecchiette; neanche Azafat, il tigrone degli orecchi. 

Gionni Bigud


Laggiù in Louisiana, vicino a New Orleans, nel profondo della foresta tra i sempreverde c'era una capanna fatta di terra e legno dove viveva un ragazzo di campagna chiamato Gionni Bigud.
Non aveva mai imparato a leggere né a scrivere bene ma suonava la chitarra come fosse un campanello.
Gionni era veramente bravo con quella chitarra, e lo chiamavano a suonare a tutte le feste. Lui tirava fuori la sua fedele Fenderbacher Springmaster, sparava due tre accordi e subito la gente impazziva.
C'era stato pure uno, uno della città, che gli aveva detto che gli avrebbe fatto fare dei dischi, se voleva.

Ma Gionni non voleva, perché suonare la chitarra non era quello che gli piaceva fare: a lui gli sarebbe piaciuto tanto fare i formaggi.
Era proprio la sua passione, ma dovunque andava a proporsi lo mandavano via.
"Ma va là! " dicevano, "Che te sei bravo a suonare la chitarra, ti conosciamo, cosa vuoi venir qui a fare i formaggi?"
E, povero Gionni, in ogni posto era la stessa storia.
Magari erano invidiosi, magari pensavano che uno che suonava così bene non era tanto volenteroso a fare un lavoro duro come fare i formaggi, fatto sta che appena Gionni diceva il suo nome facevano una smorfia e lo mandavano via.
"Allora" si pensò il nostro "adesso non gli dico più il mio nome, mi invento un nome falso che li convinca!"
E si mise su a pensarci.
"Devo trovare un nome che li convinca che io sono nato per fare quel lavoro lì" rimuginava il Gionni, "un nome che sia chiaro che di formaggi me ne intendo!"
Il primo che gli venne fu Lola Gorgonzola, ma mica se lo poteva mettere, lui era un maschio!
Però gli venivano solo nomi così: Gisella Mozzarella, Rina Fontina, Gigliola Robiola.. non ne usciva più!
Poi, un giorno, si trovò davanti al caseificio Pattoni, del famoso commendator Pattoni, e fu come se la magia dell'ispirazione lo avesse toccato.
"C'è mica il signor Commendatore?" chiese al guardiano all'ingresso.
"Chi devo dire?" fece quello.
"Gli dica, gli dica che c'è qui… Pino Pecorino!"
Il guardiano ci rimase lì un mezzo minuto, poi decise che era meglio informare il padrone.
Dopo dieci minuti arrivò il Commendator Pattoni, con uno sguardo strano.
"E' lei che mi cerca?" chiese a Gionni, anzi a Pino.
"Proprio così, caro Commendatore! Sono Pino Pecorino e son venuto a propormi per lavorare da lei!"
Il commendatore se lo guardò ben bene, poi disse:
"Vabbè, noi saremmo già a posto così, però uno con il suo nome non me lo faccio scappare, può fare pubblicità, ma ci sarà da sudare sa?!"
"A me il lavoro non mi spaventa caro Commendatore!" fece Gionni, tutto felice "E lavorare nei formaggi è sempre stato il mio sogno!"
"Bravo!" disse il commendatore: "Il formaggio, per chi lo sa prendere, è la roba più bella che c'è!" e gli strinse la mano.

Dentro al caseificio Pattoni Gionni si diede subito molto da fare; era servizievole con tutti, e da tutti si faceva insegnare qualcosa.
I vecchi lavoranti andavano dal Commendatore a complimentarsi: "Bravo Cumenda! Ha preso proprio un bravo giovine! Quello lì andrà lontano, si vede che gli piace fare il formaggio!"
E il commendatore se lo guardava ben bene, quel Pino Pecorino che non si stancava mai.
In breve da vice sotto capo in seconda addetto ai cascami della robiola Gionni si trovò promosso: prima a capo aggiunto al mascarpone, poi a capo scelto alle mozzarelle e poi ancora come responsabile dei taleggi!! Un carrierone!
Ma a Gionni non bastava: lui voleva fare, creare!
Col permesso del commendatore si metteva in laboratorio la sera, dopo il lavoro, per dar vita ai suoi sogni.
Prima si mise a perfezionare quello che già esisteva: nacque così il gorgonzola senza la goccia, il mascarpone da grattugia e la tricotta, che era una ricotta molto più saporita.
Poi si mise ad inventare, e qui diede il massimo della sua bravura: il suo primo successo fu il grana padovano, delizioso con il brodo di gallina, e poi il famosissimo formaggio coi tappi, che era l'ideale accompagnamento per il formaggio coi buchi.
Al commendator Pattoni non era sfuggito che popò di lavorante si era tirato in bottega, con il carrierone e gli aumenti si fece avanti anche una proposta mica da ridere:
"Senta Pino" gli disse un giorno "E' chiaro che lei, come me, è nato per fare questo mestiere, che ne direbbe di entrare un po' di più in azienda?"
"In che senso commendatore?" chiese incuriosito il Gionni.
"Eh" disse quello "io son vecchio, sa? Non ho più tanta forza per tirare avanti, e alla mia figliola i formaggi non ci interessano, quella è tutta persa nei suoi libri e nella sua arte."
"Io avrei pensato di farla entrare un pochino in società, perché lei mi sembra un giovane con la testa a posto che gli piace questo lavoro qua"
"Magari commendatore!" disse Gionni "ne sarei onorato!"
E così, prima come socio di minoranza, poi sempre un po' di più, il Gionni era ormai diventato padrone come il Pattoni, e non si fermava mica! 
No, ogni sera spendeva ore in laboratorio, a inventarsi altre robe e a sperimentare altri formaggi.
Ormai i Formaggi della Pattoni erano famosi in tutto il mondo, anche nelle lontane americhe. E la Pattoni aveva clienti importanti: il re delle Isole Togo impazziva per la fontina Pattoni, voleva che ogni mese gliene spedissero trentacinque chili, il famoso cantante d'opera Buffalmacchi non iniziava a cantare se prima non si era fatto un bel panino con lo stracchino Pattoni e anche l'imperatrice del Brasile aveva un debole per la famosa tricotta Pattoni. E in tutto il mondo si parlava del gran creatore di formaggi che lavorava alla Pattoni: Pino Pecorino!
Per Gionni era veramente come toccare il cielo con un dito, tutto il giorno nei formaggi, apprezzato da clienti e colleghi, addirittura socio del suo caseificio, cosa poteva mai mancargli?
Invece il Pattoni ogni giorno si incupiva un po' di più, sempre più triste, invece di sorridere, come un tempo, strideva a fatica i denti quando il Gionni gli mostrava l'ultima invenzione o gli faceva assaggiare qualche nuova produzione.
Un giorno Gionni prese il coraggio a due mani e glielo chiese:
"Commendatore scusi se mi permetto, ma cos'é che c'ha?"
"Eh? Come?" disse il Pattoni
"No, dico. Si vede che c'ha qualcosa, non è più lui!" rincarò il Gionni.
"Eh, caro Pino, te mi hai dato delle belle soddisfazioni, ma sono molto preoccupato per la mia figliola, la mia Nerina."
"Cosa c'é?" chiese Gionni preoccupato "sta male? C'ha qualche malattia!?"
“No, no, per carità!" rispose il commendatore "Sta in salute e grazia, ma proprio non sopporta quello che facciamo qui; a lei non…" e si interruppe per cacciar giù un singhiozzone, "alla Nerina non gli… PIACE IL FORMAGGIO!!!"
"NOOO!" esplose Gionni "com'è possibile!?"
"Eh, caro Pino, mica tutti c'hanno la passione che abbiamo noi: a lei piacciono altre cose e pensa che fare il formaggio sia una cosa dozzinale, brutta!"
"Ma no commendatore! Non ci posso credere!! Ma l'ha mai portata qua!?!"
"Non ci vuole venire qui!! Dice che c'è puzza!!"
Allora al Gionni gli venne proprio il fottone, che non gli andava di vedere il Commendatore soffrire così.
“Senta Commendatore, Giovedì l’altro, se permette, la vengo a trovare a casa, così mi presenta la Nerina e vediamo se riesco a parlarle.”
“Pino” disse il commendatore “te a casa mia vieni quando vuoi che per me sei come un figlio, anche di più, ma guarda che con la Nerina non c’è niente da fare…”
“Vedremo!” Disse il Gionni, che quando faceva la voce risoluta le burrate si scioglievano e anche le mucche si impegnavano a fare il latte più buono.

Così, il giovedì dopo, Gionni si presentò per cena a casa Pattoni, come s’era messo d’accordo con il Commendatore.
Per non presentarsi a mani vuote aveva portato una bella bottiglia di vino rosso, che tanto di formaggi a casa Piattoni ce n’erano.
Si sedettero a tavola e, finalmente, arrivò ‘sta famosa Nerina.
A Gionni quasi gli veniva il singhiozzo! La Nerina era proprio carina! (Ho fatto la rima così si fa prima).
Ma era scontrosa come una scimmia del Tanganika nord occidentale (mica come quelle del sud-est, che sono simpatiche e sanno giocare a tressette).
“E qui c’è puzza!”
“Non ci sarà formaggio anche stasera?”
“Ma chi è che si è tolto le scarpe!?!”
Insomma, per tutta la cena era un continuo di punzecchiature e lamenti, tutto per far sentire a disagio Gionni e il Commendatore.
La sua mamma le diceva:”Nerina, fa la brava, che abbiamo ospiti. Ti lamenti che qui non viene mai nessuno!”
E quella: “E certo! Con l’odore di formaggio che c’è! Chi vuoi che ci venga a trovare?! Solo un formaggiaio!”
Ma Gionni non se la prendeva mica, perché a lui ‘sta Nerina gli piaceva proprio.
Così, dopo cena, provò a fare il simpatico.
“Lei” disse “Signorina Nerina, cos’è che ci piace?”
“Ah!” Esclamò quella “Cosa mi piace! Tutto, tutto tranne il formaggio, e in questa casa esiste solo quello!”
“Ma dai” disse la mamma “Digli al Signor Pino che sei andata a teatro l’altra sera.”
“E cosa ha visto?” Chiese subito il Gionni.
E la Nerina, a muso duro per far la sostenuta “Il Sogno, di Strindberg, conosce?” Che era un dramma pesantissimo e noiosissimo del tipo che alcuni teatri mettevano giù dei letti invece che le poltrone.
E il Gionni, bello bello, fa: “Credo di si; n on è per caso il dramma in cui tutto può avvenire, tutto è possibile e probabile. Tempo e spazio non esistono; su una base minima di realtà, l'immaginazione disegna motivi nuovi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni?”
La Nerina!
A momenti sveniva dall’emozione, che uno così imparato in quella casa non si era mai visto!
“Ma…” cercò di dire “Ma, lei va spesso a teatro, signor Pino?”
E il Gionni, che si era preparato perché aveva chiesto aiuto alla domestica dei Pattoni e sapeva dov’era stata la Nerina, fa: 
“Ma, più che altro, no.”
Però da lì la conversazione è diventata molto meno antipatica e il Gionni e la Nerina han preso su a parlare che al Commendatore e a sua moglie non ci pareva vero.
In breve erano passati al tu e, a un certo punto, il Gionni chiese alla Nerina.
“Ma perché fai così la schizzinosa col formaggio? Lo sai che il tuo papà ci rimane male?”
E la Nerina “Ma uffa! Perché qui dentro si parla SOLO di formaggi e latticini! Non c’è un momento di ispirazione, di poesia, di musica!”
“Perché? A te ti piace la musica?”
“Certo! Mi han fatto pure prendere le lezioni di pianoforte, ma il mio sogno è di suonare la chitarra!”
“Chitarra?” Fa il Gionni.
“Si!”
“Spetta qui un momento”
E il Gionni, tra lo stupore di tutti i Pattoni se ne esce, va alla macchina e - cinque minuti dopo - rientra in casa con una bellissima Gibsophone Roadcaster, e ci fa:
“Senti un po’ se ti piace.”
Son venuti giù anche i muri.
Il Gionni Bigùd con una chitarra in mano faceva commuovere anche gli angeli e, in rapida successione, gli ha fatto:
Your cheatin’ heart di Hank Williams
Montagne verdi di Marcella Bella
White rabbit dei Jefferson Airplane
One for the road del Frank Sinatra
Il quarto movimento della sesta sinfonia di Ciaikovski, con il solo di fagotto fatto tutto sul mi cantino.

La Nerina non credeva alle proprie orecchie, aveva perso le scarpe ed era in piedi sul divano a gridare “Si! Si!” Mimando di avere una chitarra tra le mani.
Il Commendatore e sua moglie erano sbalorditi, non avevano mai visto la loro figliola così.
“Senta un po’, Pino” chiese il Commendatore “ma com’è che lei che fa formaggi da tutta una vita sa suonare così bene?”
Allora il Gionni gli ha detto tutta la storia.

Due mesi dopo il Gionni e la Nerina si sono sposati, per la gioia del Commendatore e della sua signora, Rita Pattoni Forti.
Il Gionni, ormai Gionni per tutti e non più Pino Pecorino, va sempre a lavorare nel caseificio ma, la sera, quando torna a casa, la sua Nerina è lì che lo aspetta per far suonare la chitarra al suo marito.
E lui gliele canta per bene. 

E’ Natale alla Tortuga


Era Natale un po’ dappertutto e anche all’isola della Tortuga quei quattro piratacci balenghi si preparavano a festeggiare.
Certo, loro erano cattivi e bugiardi, spietati e golosi, però, in fondo in fondo, ci piaceva anche a loro il Natale e così, sapendo che Babbo Natale alla Tortuga non ci sarebbe passato MAI ma MAI e POI MAI, facevano finta che passasse lo stesso, mettendo dei bei doni sotto un albero di Natale (in realtà una palma di Natale, perché alla Tortuga gli abeti non crescevano) proprio lì fuori dal Marinaio Mogio.
Pino Wilson, per l’occasione, faceva la sua zuppa di montone e carote speciale, e ci metteva dentro anche un po’ di crusca, prezzemolo, pecorino romano, lardo di colonnata, acciughe sott’olio, pepe, cannella, peperone rosso di Carmagnola e zenzero. 
Veniva MOLTO saporita e tutti quei manigoldi lacrimavano un po’, così se si commuovevano come bambinelli potevano sempre dire che era per via della zuppa.
Comunque era proprio un bel Natale coi fiocchi e, anche se lì non nevicava mai, avevano riempito il tetto del Marinaio Mogio e la palma di Natale con del cotone bianco rubato su una nave inglese, così sembrava che c’era la neve.
Finito di cenare (e non vi dico che puzzone, con tutto quello zenzero!) sono usciti tutti a vedere la palma di Natale, erano felici come dei cuccioloni.
 Allora Pinin Gamba di Gesso, in piedi su una cassa di rum vuota, ha cominciato a chiamare tutti, così il pirata diceva “presente!” e andava alla palma a prendersi il suo regalino.
“Gionni il bello!” urlava Pinin, e dalla folla esce un mingherlino con la faccia tutta spiattellata che sembrava avesse preso un cartello della pubblicità in faccia.
“Uè!” Fa Pinin, “Ma perché ti chiamano il bello!?”
“Vengo bene di profilo” gli risponde quell’altro, e tutti giù a ridere!
“Frankie sei dita vere!” E viene avanti il pirata che aveva sei dita, tre pe mano, che le altre le aveva perse un po’ qui e un po’ là.
“Frankie sei dita false!” Urla Pinin. 
E qui viene fuori il pirata che, per paura di perdere le dita in qualche battaglia, come spesso capitava, se ne era fatto mettere una in più per mano dal medico dei pirati, il Dottor Accio (che non si è mai capito perché lo chiamassero così) e quindi ne aveva sei per mano, ma false.
E ognuno andava alla palma di Natale e si prendeva il suo pacchettino; Little Tony controllava che nessuno, per sbaglio, si prendesse il pacchettino di qualcun altro, oltre al suo.
Ognuno c’aveva proprio il regalino giusto per lui.
E così Frankie sei dita vere aveva trovato un bel paio di guanti con tre dita sole, Gionni il bello un mezzo specchio , per farsi la barba senza doversi vedere brutto com’era.
A Billi spaccatutto gli avevano regalato un barile di colla, così aggiustava casa sua, che ogni volta che si muoveva rompeva qualcosa.
C’erano le mentine per Bobbi Voce di fuoco, così gli passava il brutto alito, almeno per un po’, e un cappello stretto stretto per Vito senza orecchie, così non gli cadeva dalla testa.
E tra risate e grida di allegria, erano tutti lì a passarsi un bel Natale.
Solo Buttafuoco, in un angolo, se ne stava con le sue cornacchie sulle spalle a mugugnare e a digrignare i denti.
“Guardali lì!“ Diceva “Tutti allegri come scimmie nane della mesopotamia!”
“Son contenti, sono!” continuava “Perché hanno trovato il loro regalino,  così fanno un bel natalino, mangiano un dolcino, e poi vanno a nanna che hanno riempito il pancino!” 
E, così dicendo, faceva tutte delle faccettine per prenderli in giro.
“Cosa c’è Buttafuoco?” gli grida Pinin, “Non ce la fai ad aspettare il tuo turno?!”
Buttafuoco, al sentirsi preso in giro da Pinin, è diventato subito rossissimo in faccia (come al solito) e gli grida:
“Taci, piratucolo da strapazzo!!” ringhiando come un mastino “Che a me del Natale mi frega solo se passa quel vecchio rimbambito vestito di rosso, così gli rbo tutto!!”
E poi, borbottando aggiunge “Mica son qui a farmi venire i lucciconi come queste bertuccie ubriache!”
Così, imbacuccato nel suo cappottone nero e rosso, si rimette a sedere tra i barili di polvere da sparo con il suo boccale di rum caldo, facendo di tutto per non sentire le grida di contentezza degli altri pirati.
Alla fine, quando anche Zlatan lo svedese ha preso il suo regalo (un bel mobiletto porta spade da montare)  non c’è rimasto più nessuno e, finalmente, Buttafuoco si alza e dice:
“Oh! E’ finita ‘sta pagliacciata!! Adesso posso andarmene a dormire senza dovere sentire i gridolini scemi di questi babbei!”
Ma Pinin, tutto furbetto, fa:
“Oh! Guardate!! C’è rimasto ancora un pacchettino sotto l’albero!” e poi “L’avete avuto tutti un regalo!?”
E tutti quei piratacci “SI! S!”
“OH! E allora di chi sarà mai quel regalo?!” Fa Pinin, “Little Tony, puoi vedere che nome c’è sul pacchetto?”
Little prende il pacchettino e fa finta di non riuscire a leggere bene, mentre tutti i pirati stanno col fiato sospeso: chi sarà quel fortunello che si prende DUE regali di Natale!?
“Eh, Pinin” dice Little, “Non si legge bene, mi sembra che ci sia una B, poi un U, poi qualcosa che sembrano due T e poi finisce, sono sicuro, in OCO”
Pinin, sempre col faccino furbo, si toglie il cappello con la piuma e si gratta la testa pensoso.
“Uhm…” fa finta di pensare “B, U, T, T e finisce in OCO, chi sarà mai!?”
E tutti i pirati in coro “BUTTAFUOCO!!!”
E lui, Buttafuoco, ancora lì seduto tra i barili, s’è alzato guardandosi intorno.
“Come Buttafuoco!? Che storia è questa!?” e poi “Se scopro che è uno dei tuoi scherzi Pinin io…”
Ma non ha fatto a tempo a finire la frase perché Gierri lo smilzo e Peppe Galera gli avevano già portato lì il pacchettino, tutto infiocchettato e con sopra il suo nome.
Allora Buttafuoco l’ha preso e, mentre tutti i pirati in coro facevano “Aprilo! Aprilo!” Ha guardato in giro torvo torvo e poi, con un gran colpo di sciabolone, l’ha aperto.
SORPRESA!!
Dentro il pacchettino c’erano due navi giocattolo, bellissime, con le vele e tutti i cannoni!
Buttafuoco le ha prese in mano e gli è caduto qualcosa per terra: era un pacchetto di semi di girasole per le sue cornacchie, Anassimandro e Anassimene!
Quelle, vedendo i semi, si sono buttate che neanche due falchi affamati, mentre tutti i pirati si sono messi intorno a Buttafuoco a cantargli “Buon Natale! Buon Natale!”
“Andate via!” Ha urlato quel pirataccio brutto, e faceva anche segno con la sciabola di voler affettare qualche naso.
Così, dopo un po’, è sparito.
Era dietro al Marinaio Mogio, in cortile, con le due navi giocattolo in mano a mugugnare.
“All’arrembaggio!” diceva con la vocina e poi, “PICIU, PICIU; BOOM” faceva i suoni dei cannoni e degli spari.
Si stava divertendo un mondo a giocare con il suo regalo.
E si ricordava di quando, da bambino, rubava il cappellaccio di suo papà, il famoso pirata Buttafiamme, e si nascondeva nella sua cameretta a giocare a fare il pirata anche lui, gridando ordini e facendo arrembaggi, lottando contro gli spagnoli o gli inglesi.
E sul suo faccione rosso erano comparsi due begli occhietti lucidi, proprio come un bambino contento del regalo di Natale o di un adulto che si commuove a pensare di quando era bambino, come capita ai grandi.
E quando Pinin, tutto carino, gli si è avvicinato e gli ha chiesto:
“Uè, Buttafuoco, com’è che c’hai gli occhini lucidi? Ti piace il Natale!?”
Quel pirataccio si asciuga gli occhi e il naso con la manica del cappotto,  lo guarda male e fa:
 “Bah!! Quella maledetta zuppa!”

Ruttacchione


Ruttacchione era un bravo pirata ma, tra i tanti difetti che ha ogni pirata che si rispetti, ne aveva uno che anche agli altri piratacci dava molto fastidio: faceva dei ruttoni terribili!
Non era colpa sua, poverino, ma certo che mangiando come un vero maialone come faceva lui la cosa diventava parecchio fastidiosa.
Non c’era pirata che salisse sulla sua nave, figurarsi poi sedersi al suo tavolo al Marinaio Mogio! Si, proprio!
Il problema era che Ruttacchione faceva non solo dei botti tremendi, ma che puzzavano pure!
Se soltanto uno avesse avuto il coraggio di avvicinarsi a lui dopo uno dei suoi tremendi ruttoni avrebbe immediatamente capito cosa Ruttacchione aveva mangiato nei giorni precedenti, si poteva rifare tutto il menù.
Con questo difettuccio che aveva non si può certo dire che Ruttacchione se la passasse bene, anzi!
Ormai erano mesi che non gli riusciva più di andare a fare qualche bel arrembaggio alle navi spagnole, per forza! Nessuno voleva navigare con uno che sparava cannonate puzzolenti!
Così, una sera, Ruttacchione si alzò dal suo tavolo e si presentò a quello di Pinin Gamba di gesso.
“ehm, scusa, Pinin. C’hai un momento?” disse, cincischiandosi il cappellaccio in mano.
“Ah, ciao Ruttacchione! Che c’è? Dimmi pure.” Rispose Pinin, mentre i suoi già coprivano i piatti di zuppa di montone e carote, temendo un colpo di Ruttacchione.
“Ecco, vedi, io… “ e BUUAARGGHH! Un ruttone spaventoso gli uscì dalla bocca.
Pinin a momenti sveniva dall’odore!
“Mangiato pesante eh, Ruttacchione?” disse, coprendosi il naso con il tovagliolo.
“No!” rispose pronto quello, “Solo due piati di cipolle in umido con i fagioli, e poi, poi…” Ruttacchione si grattò la testa e BBURAARRGGHH! Altro ruttone tremendo!
Ruttacchione annusò l’aria e disse “Ah ecco, si! Anche un po’ di cinghiale al pepe!”
Pinin era diventato bianco come un lenzuolo, e non è che gli altri tre stessero molto meglio.
“Usciamo un pochino” disse, “così respir… cioè parliamo meglio.” E si portò fuori Ruttacchione.
Mezz’ora dopo, mentre l’aria al tavolo si era fatta nuovamente respirabile, rientrò.
“E allora” sibilò Albano, “Cosa voleva quello!?”
“Oltre a spararti in faccia il menù” aggiunse Little Tony, e tutti a ridere.
“Mah, niente.” Rispose Pinin, “Domani sera viene con noi ad arrembare un galeone di cui mi ha detto” 
“Uè Pinin!” Urlarono tutti e tre in coro “Ma sei SCEMO!?!?”
“Quello lì ci fa svenire!” “Dovremo lavare la nave da cima a fondo!” “Se spara uno dei suoi ruttoni ci sente tutta la Marina Spagnola!!” dissero, parlando uno sull’altro.
Pinin, intanto, si accarezzava il baffino, sogghignando.
“Via ragazzi,” disse, “Bisogna essere gentili con quelli un po’ sfortunati. Ruttacchione non naviga da mesi ormai e non sa più come mangiare”
“Meglio” urlò Albano “Che un po’ di dieta non gli farebbe male a quello lì”.
“Comunque ho deciso.” Tagliò corto il Capitano “Domani lo aspettiamo al porto e poi ci dirà dove andare.”
“Ah si!?” ringhiò Bobby solo, “allora io non vengo!”
“Neanch’io”, “E neanch’io!” gridarono gli altri due.
“Invece verrete.” Disse calmo Pinin, “perché ho già un piano.” E sorrise, furbetto.

Così, la sera dopo, i tre erano già a bordo all’imbrunire. Tutti e tre decisi a fargliela pagare a quel fessacchione del loro Capitano, che li voleva morti per via dei rutti del pirata Ruttacchione.
Un’ora dopo, cantando canzonacce da caserma, Ruttacchione e Pinin apparvero sul molo.
“EHI! Della nave!” gridò Pinin, “Siamo arrivati. Siete pronti a salpare?”
“Diteci prima cos’ha mangiato Ruttachione!!” Fu la risposta
E quello:
“Ma niente, due cosine così, per non avere appetito più tardi: peperoni all’aglio e acciughe e due piattini di melanzane fritte col gorgonzola.”
“Ah no!!” fecero in coro i tre, “Qui non ci salite proprio, vogliamo respirare aria di mare noi, mica galleggiare nella nebbia dei tuoi ruttoni!!”
“Via, via” fece Pinin, “mettetevi ai vostri posti che Ruttacchione si accomoda nella mia cabina a poppa.” E poi, a Ruttacchione, “tutto chiaro allora? Te lo ricordi il piano!?”
“Si, si, vado subito!” e sparì nella cabina di Pinin.
Così iniziarono a navigare; dopo un’ora circa Albano e Little Tony si trovarono a commentare.
“Non so quale sia il piano di Pinin ma, finora, non ho sentito neanche un ruttone…”
“Eh, si!” disse l’altro “E non c’è neanche un po’ di puzza.”
“Mah, speriamo bene!” s dissero e ripresero a fare quello che stavano facendo.

Non sapevano che, proprio in quel momento, Ruttacchione era affacciato alla finestra di poppa, dietro alla nave, e sparava ruttoni su ruttoni in un lungo tubo di gomma che gli aveva dato Pinin. Così non si sentiva niente, né rumori né puzze.
Certo, il Criceto di mare si lasciava dietro una scia di bolle puzzolenti che salivano a galla insieme a pesci parecchio schifati ma, da che mondo è mondo, i pesci non parlano e quindi nessuno protestava.

Verso la mezzanotte di una notte senza luna giunsero in prossimità del galeone Spagnolo.
Pinin ordinò il massimo silenzio e iniziarono ad avvicinarsi, pronti a saltare a bordo e a guerreggiare con gli spagnoli.
Invece, quando ormai il Galeone era a un palmo di naso, Pinin sibilò un ordine stranissimo
“Pronto Ruttacchione? Vai a prua, che ci siamo!!”
Quello uscì dalla cabina di corsa e , tenendosi al bocca tappata con entrambe le mani, si mise nel punto più avanzato della nave.
Gli altri lo vedevano che tratteneva tutti i suoi ruttoni e stava diventando di tutti i colori! Prima giallo, poi verde, poi blu.
Quando aveva ormai raggiunto una bella tonalità di rosso Pinin gli urlò “Ora Ruttacchione! ORA!!!”
BERERERMBERROUGGRHAAEAAAMMBBREEEUEGGGHH!!!!
Un rumore spaventoso, più forte di mille cannoni, uscì dalla bocca di Ruttacchione verso il Galeone, insieme ad una nuvolaccia verde e grigia che non prometteva niente di buono.
Il capitano del Galeone e i suoi uomini udirono quel boato e, subito dopo, furono sommersi da una puzza spaventosa.
Immediatamente si misero ad urlare:
“El diablo!!! El diablo del mar!!! Estamos perdidos!!!” E si buttarono tutti in acqua.
Fortunatamente l’ultimo a buttarsi pensò bene di tagliare la corda che reggeva la scialuppa di salvataggio così che, cadendo in acqua, permettesse a tutti gli spagnoli di salirci a bordo.
Lì, tutti stretti nella scialuppina, piangevano e pregavano perché erano convinti che il diavolo del mare, che aveva fatto quel rumore spaventoso con quell’odore vomitevole, li avrebbe mangiati tutti.
Pinin e i suoi invece, rapidi come giaguari, dopo aver rispedito Ruttacchione a ruttare nel tubo, erano già saliti a bordo del Galeone e stavano portandosi via tutto.
Dopo mezz’ora di piagnistei al capitano spagnolo venne un dubbio e, pianino pianino, fece portare la scialuppa oltre al prua del suo galeone.
E fu così che vide, nell’oscurità, il Criceto dei mari allontanarsi a vele spiegate e sentì le risatone di quei piratacci che, col bottino a bordo, ancora non credevano a quanto fosse stato facile quell’arrembaggio.
Gli spagnoli risalirono a bordo ma, ovviamente, scoprirono che la polvere dei loro cannoni era stata bagnata e che le corde delle loro vele tagliate, così ogni inseguimento era impossibile.
E il capitano spagnolo piangeva come un coccodrillone.

A bordo del Criceto dei mari invece c’era festa grande!
Tutti ridevano e ballavano, coperti di sete e ori rubati agli spagnoli. Ogni tanto qualcuno andava in cabina a dare una pacca sulla spalla a Ruttacchione, ma non troppo forte, che non si sa mai…

Da quella notte Ruttacchione tornò ad essere un Piratone a tutti gli effetti, e gli equipaggi delle alte navi se lo contendevano per portarselo con loro, a patto che Ruttacchione si presentasse all’imbarco con il suo bel tubo di gomma.

La notte di Antavleva


Era proprio una brutta serata all’isola della Tortuga e tutti quei piratacci se ne stavano rintanati, belli al calduccio, al Marinaio Mogio, il bar dell’isola.
Pino Wilson, il barista, continuava a servire gran piattoni di zuppa di montone e carote, il piatto preferito dai pirati, e quelli se li mangiavano come tanti maialoni, facendoci sopra anche delle belle puzze!
All’improvviso – SBARADANG! – la porta del Marinaio Mogio si spalanca, facendo entrare un ventaccio freddo e bagnato che fa rabbrividire tutti. 
Un fulmine improvviso disegna sull’uscio un’ombra così minacciosa che tutti quei furfanti si raggomitolano su di loro per la paura.
Poi, alla luce delle lampade del bar, una figura si avanza: è la temutissima e spaventosissima Antavleva Impallomeni, la terribile piratessa.
Antavleva si piazza in mezzo al bar, guarda con disprezzo tutti quei piratacci puzzolenti e sporchi e fa:
“Il mio equipaggio è un momento dal parrucchiere, a Maracaibo, e io devo uscire in mare proprio stasera. Qualcuno di voi, brutti macachi che assomigliano a dei pirati, ha forse il fegato di imbarcarsi sulla mia Dark Lipstick!?”
Il silenzio del bar si fece ancora più pesante, e se non fosse stato per la puzzona – PROOOOTT! - che era scappata a Jack Manostorta, che ci aveva dato dentro con la zuppa, non si sarebbe sentita volare neanche una mosca.
Antavleva aveva lanciato una terribile sfida a quei manigoldi: nessuno, neanche il più cattivo di loro, avrebbe osato portare una donna a bordo della sua nave: era una antica superstizione marinaresca che ai pirati, soprattutto quelli sposati, gli faceva un po’ comodo. 
Così, tipo la domenica, con la scusa che donne a bordo non se ne potevano imbarcare perché porta male, lasciavano la moglie a casa e loro se ne andavano tranquilli in giro, magari a vedere la partita di pallone, in alto mare.
Figurarsi poi salire su una nave comandata da un donna! Ecco perché Antavleva c’aveva un equipaggio di sole donne: nessun uomo ci sarebbe mai salito sulla sua nave, la Dark Lipstick!
Però, si sa, le donne, anche se piratesse, hanno le loro brave esigenze, e così tutto l’equipaggio aveva prenotato il parrucchiere, il famoso Luis Rififì di Maracaibo, proprio quel giorno lì e Antavleva era rimasta senza equipaggio.
Dopo un bel po’ di silenzio si sentì la voce di Capitan Buttafuoco, quel brutto manigoldo, dire:
“Noi non ci saliamo sulla nave con una donna, porta male. E poi, proprio stasera devo andare dal pedicure”
E tutti giù a ridere su quell’insulto scemo e un po’ cattivo, che però si capiva che volevano ridere perché c’avevano una fifa matta, come spesso fanno gli omaccioni brutti.
Antavleva sentiva quelle risate bruciare sul viso, ma non abbassò neanche un secondo lo sguardo e, anzi, li guardava tutti ancora più incattivita.
Allora, dall’angolo in fondo, si alza il nostro amico: Pinin Gamba di Gesso.
“Ci veniamo noi, se la paga è buona”, dice.
Tutto il Marinaio Mogio si volta verso il tavolo dei nostri eroi, facendo “Oooooh!” e mettendo la bocca come se stessero ingoiando una cipolla.
Anche gli uomini di Pinin; Albano, Little Tony e Bobby solo, si voltano verso il loro Capitano e lo guardano come si guarda un matto! Ma che è scemo quello, a salire sulla nave di una donna!?!?
Antavleva guarda Pinin, che si sta lisciando i baffettini perché a lui, un po’, ci piace l’Antavleva.
La piratessa fa un ghigno cattivo e dice:
“La paga sarà tanto buona quanto ve la guadagnerete in battaglia!”
E ancora una volta si sente un “Oooohh!” a bocca aperta di tuti i pirati, che però ‘sta volta guardano Antavleva.
“Uè capo, ma sei scemo!?!” dice sottovoce Albano a Pinin, “Non sai che porta male navigare con le donne!?!” mentre gli altri due fanno sissì col crapino.
Pinin, che continua a lisciarsi il baffettino mentre si guarda la Antavleva, gli fa: “Antichi. Il mondo evolve sapete?”  “E poi non c’avevamo nient’altro da fare che stare qui a mangiare zuppa e puzzette, andiamo: un po’ di aria di mare ci farà bene.”
E così, nel silenzio del Marinaio Mogio, Antavleva Impallomeni se ne esce seguita dai nostri quattro.
Come arrivano al porto, scoppia la lite.
Il fatto è che la Dark Lipstick, la nave di Antavleva, è tutta tenuta bene e – davanti alla passerella – c’è lo zerbino per pulirsi i piedi.
Figurarsi Albano, quello che si fa il bagno solo se è proprio proprio Natale, come se la prende!! Per lui è un’offesa mortale ma, alla fine, con le parole e anche qualche calcione, Pinin e gli altri due lo convincono a salire, dove Antavleva li sta aspettando.
Come sono sul ponte della nave Antavleva gli dà gli ordini:
“Allora, stanotte andiamo al largo dell’isola di Guadalupe, ho informazioni che passerà una Galea spagnola ben carica: la abbordiamo e ci prendiamo tutto. Adesso andate alle vele!”
Pinin, che sarebbe un Capitano anche lui, fa “Ma, come!? Io devo andare alle manovre!? Ma io sono Capitano!!”
E Antavleva: “E ogni tanto bisogna pure piegare il gobbone, bel baffino. Son cose che capitano, capitano”.
Così, mentre quei tre fessi dei suoi uomini se la ridono per quell’affronto che s’è beccato il loro capitano, Pinin va a tirar su le vele, che però non gli dispiace più di tanto perché Antavleva l’ha chiamato “bel baffino” e lui è un po’ vanitoso.
Allora partono, con un mare in tempesta da fare spavento a tutti i marinai. Però i nostri quattro, che sono proprio bravi, si mettono subito a fare un bel lavoro, mentre Antavleva li guarda e comincia a piacergli di avere a che fare con gente che sa andare per mare.
Col ventaccio che c’è arrivano al largo di Maracaibo in un momento e Antavleva decide di nascondere la Dark Lipstick dietro un isolotto, per non farsi vedere mentre aspettano gli spagnoli.
Allora Pinin va da Antavleva e gli fa: “Scusi Capitana, ma per lei va bene così?”
“Perché” fa quella “Così come?”
“No, dico” continua Gamba di gesso “Se teniamo su le vele belle bianche che c’ha la sua nave capace che gli spagnoli ci vedono da tre miglia di distanza, e ti saluto sorpresa!”
Antavleva ci pensa su e poi dice “Va bene, hai ragione.” Perché le donne mica devono star lì a mostrare che sanno tutto loro, come fanno i maschi “Ammainate le vele, però appena arriva la nave spagnola dovete essere dei fulmini a issarle”
Pinin, contento di aver fatto la bella figura che la sua idea era buona, dice “Si figuri Capitana!” ridacchiando, “io e i miei uomini siamo espertissimi.” Perché lui è un maschio e deve far sempre notare che è bravissimo.
Allora, nel silenzio del mare che intanto si è un po’ calmato, se ne stanno lì ad aspettare, fino a che Albano, che scruta nella notte, comincia a urlare “Eccola, eccola!” 
Antavleva, secca, gli fa: “ Non urlare, babbuino!” E Albano si zittisce come uno stupidotto.
Quatti quatti ma rapidissimi tirano su le vele e, come un falco, si precipitano sulla nave spagnola.
Quelli della nave non fanno neanche a tempo a capire che sta succedendo che Pinin e i suoi, sotto gli occhi compiaciuti di Antavleva, sono già a bordo, con gli spadoni sguainati a urlare come aquile.
“Fermi tutti!” “Mani in alto” “Dov’è il carico!?!” “Giù le armi!!”
Senza neanche sparare un colpo gli spagnoli si arrendono subito, con le mani in alto.
Quando però il capitano spagnolo si rende conto che si è arreso ad una piratessa donna va su tutte le furie e fa per tirare fuori il suo sciabolone per attaccare.
Pinin però, che aveva già previsto il gesto, gli dà uno schiaffone forte e gli dice:
“Uè, spagnolitos, tieni le mani a posto che quella lì è il nostro Capitano e ti fa a fette come un salamino!”
E tutti i pirati ridono, mentre Antavleva fa un sorrisino a Pinin che quello a momenti cade per terra!
In quattro minuti svuotano la nave degli spagnoli, caricano la Red Lipstick e se la filano nella notte, non prima di aver bagnato le polveri dei cannoni spagnoli, così non gli possono più sparare.
Con  un bel vento che gli gonfia le vele la Red Lipstick prende la via della Tortuga mentre Antavleva e i nostri mettono le mani sul bottino.
C’è di tutto: monete d’oro e d’argento, pietre preziose, cristalli di boemia e anche sete raffinate e bei vestiti.
Pinin ne prende uno, da femmina, e fa “Questo qui starebbe proprio bene alla nostra capitana!” e tutti i suoi uomini urlano “Viva la Capitana!! Viva Antavleva!!”
Lei, un po’ confusa dal gesto di Pinin, se lo prende tutta rossa in viso e dice “Adesso vado a mettermelo” e sparisce nella sua cabina.
Dopo dieci minuti esce, tutta agghindata come una gran dama, così bella che quei quattro scimmiotti se ne stanno lì, a bocca aperta, a vedersela tutta.
“Beh?” fa Antavleva, nervosa, “Cosa c’è!? Vi ha punto la mosca tzè tzè e vi ha paralizzato!?”
E allora Pinin con un gesto svolazzante si leva il cappellaccio con la piuma e si inchina, dicendo:
“Siamo onorati di essere stati al vostro servizio, Capitana Antavleva” e tutti gli altri applaudono.
Allora Antavleva, un po’ commossa, gli fa: “Va bene, va bene, andiamo su a mangiare qualcosina, che avrete fame.”
“SI!” risponde Little Tony, che lui ha SEMPRE fame.
Poi, dopo aver mangiato arrosto di agnello con le patate, Antavleva mette in mezzo alla tavola una torta.
“Questa” dice “E’ la torta di rabarbaro e noci, me l’ha insegnata mia nonna perché, anche se non lo devo dire in giro che non fa tanto piratessa, a me piace fare le torte.”
E Little Tony: “Oh! Ma che che combinazione! A noi piace mangiarle le torte!”
E tutti a ridere.
Arrivati alla Tortuga si spartiscono il bottino, poi Antavleva gli dice:
“Cari signori, vi ringrazio, mi avete insegnato che non tutti i pirati sono dei perdigiorni paurosi e puzzolenti.” Poi guarda Albano e dice: “Vabbè, facciamo solo paurosi…” 
Mentre tutti, tranne Albano, ridono Pinin Gamba di Gesso si ritoglie il cappello e dice:
“E voi, Capitana Antavleva, ci avete insegnato che le superstizioni sono stupide e che navigare con una donna può essere molto piacevole.”
Allora Antavleva lo tira per il bavero della giacca e GLI DA’ UN BACINO!!
Pinin diventa rosso, poi verde, poi bianco, poi giallo e poi blu! Mentre quegli altri tre ridacchiano come macachi fessi, dicendo “Gli ha dato un bacinoooooooo!!!”
“Non era quello che volevi?” fa Antavleva, da finta tonta. E Pinin, ancora tutto rosso in faccia: “Sissississisì!”
E così, da quel giorno, è nata una bella amicizia tra Antavleva Impallomeni e i nostri quattro piratoni.

I pirati di fiume


Una volta Pinin Gamba di Gesso e i suoi pirati dovevano andare nel Polesine, per delle commissioni.
Pinin era sul ponte che passeggiava mentre la nave risaliva il fiume e sente delle vocine venire da sotto.
“Arrendetevi! Adesso vi abbordiamo!”
Si guarda intorno ma non vede niente.
Allora chiama Albano e gli dice ”Ma le senti anche tu ‘ste voci?”
E intanto si sentivano sempre quelle vocine che dicevano:
“Adesso veniamo lì e vedete!”
“Dateci tutto il bottino!”
Anche Albano si guarda attorno, senza vedere niente.
“Sembra che vengano da sotto” dice “dal fiume..”
“Dal fiume!?!” fa Pinin. “E chi c’è sul fiume?”
Allora si sporgono dalla nave e guardano in basso e vedono, lì sotto al Criceto dei Mari, tre barchini con sopra sette-otto persone, tutte incattivite che gli mostrano i denti.
“Cosa volete?” chiede Pinin, “Da qui non si sente bene!”
“Senti, baffino” fa il più cattivo di tutti “fai poco lo spiritoso e facci salire, che siete caduti in mano ai terribili pirati di fiume”
“Pirati di fiume!?!?” fa Pinin ridendosela sotto i baffi. “Certo! Certo, adesso vi buttiamo giù una scaletta!”.
“Capo ma che fai?” chiede Albano “fai salire ‘sti straccioni?!”
“Aspetta e vedrai” dice Pinin, ridacchiandosela mentre cala una scaletta di corda.
Non appena la scaletta arriva ai barchini i pirati di fiume cominciano a salirci.
Pinin aspetta che anche l’ultimo ci sia salito e poi fa ad Albano: “Ecco, adesso taglia la corda che la tiene”
Albano, in un nanosecondo, tira fuori lo sciabolone e con un colpo secco taglia la corda della scaletta.
PLUFF! 
I pirati di fiume cadono in acqua uno dopo l’altro, bagnandosi tutti e dicendo un sacco di parolacce.
Pinin e Albano se la ridono come due matti, tanto che vengono su anche Litte Tony e Bobby Solo, a vedere cosa c’è da ridere.
Intanto il capo dei pirati di fiume urla e minaccia:
“Maledetti, ma adesso ve la facciamo vedere noi!!”
Poi si rivolge a uno dei suoi, che sta ancora sputazzando l’acqua che ha bevuto.
“Blackie! Carica il pistolone e fagliela vedere!!”
Il povero Blackie estrae dalla cintura un pistolone tutto vecchio e arrugginito.
“Capo, devo prima asciugarlo, se no non spara!”
A quelle parole i quattro sopra la nave cominciano a ridere come matti.
Il capo dei pirati di fiume è tutto rosso in faccia e urla come un babbuino!
“E tu asciugalo in fretta!! Che gliela facciamo vedere noi a quelli lì!”
Allora Blackie comincia a soffiare sul pistolone e a tentare di asciugarlo con un lembo della camicia bagnata.
Poi, dopo circa dieci minuti di tentativi e di risate di Pinin e i suoi dice:
“Ecco Capo! Adesso la carico e sparo!”
Dal barchino prende la polvere, i pallini e lo stoppino e ci mette altri dieci minuti a caricare il pistolone!!
I nostri non riescono quasi neanche a stare in piedi da quanto ridono, mentre il Capo dei pirati di fiume sta impazzendo dalla rabbia per sentirsi preso in giro.
Alla fine Blackie punta il pistolone su Pinin e i suoi che gli dicono:
“Oh! Finalmente!! E qui stavamo aspettando eh? Quando si dice che si spara si deve sparare, altrimenti la sorpresa va a farsi benedire!” E giù risate.

Blackie punta il pistolone, chiude gli occhi e tira il grilletto-
BO!
Il colpo del pistolone fa un sacco di fumo e spara in aria dei pallini che ricadono ai piedi dei nostri, rimbalzando.
Pinin comincia a urlare come una scimmia, piangendo dal ridere, e anche gli altri tre si buttano a terra tenendosi la pancia: il pistolone faceva più rumore che danno!
Il Capo dei pirati comincia a mangiarsi il cappello dalla rabbia e allora Pinin gli dice:
“Va ben, adesso tocca a noi sparare, Little, vai a prendere il cannone di poppa, quello piccolo…”
I pirati di fiume sentono queste parole e si zittiscono, mentre Little dice:
“Ma sei sicuro capo? Quello fa male!”
Pinin gli dice sottovoce “Massì. Caricalo a sale, peperoncino e pepe nero, che ci divertiamo!”
Intanto i pirati di fiume cominciano a discutere tra loro.
“Ecco,” fa uno grosso grosso, “l’avevo detto io che questa nave era troppo grande, adesso vedrai, ci fanno la bua”
“Zitti!” Ordina il capo “Adesso vediamo cosa tirano fuori questi quattro damerini, poi ripigliamo l’abboradaggio!”
“E come? “ dice Blackie, quello del pistolone “Siamo tutti bagnati e non sappiamo come salire a bordo…”
“Adesso vi spiego… “ fa il Capo, ma non fa a tempo a finire la frase perché tutti guardano in alto.
Little Tony è tornato con il cannone di poppa e, al vederlo, i pirati di fiume cominciano a strillare.
“noo! Per favore, nooo!” gridano “Quel coso lì fa troppo male!”
Ache il capo si è fatto passare la rabbia “Per favore, signor Capitano” dice a PInin “ noi si scherzava, non volevamo neanche torcervi un capello…”
“Tranquilli, tranquilli” dice Pinin “Adesso vi diamo solo una scaldatina…”
“Una scaldatina!?” Gridano in coro i pirati di fiume.
“Sissì, pronto Little? Allora spara!”
PAtoooOOMM!!
Una pioggia di sale pepe e peperoncino rosso colpisce i sederi dei pirati che, spaventati, si erano buttati sott’acqua per evitare il colpo
“AHIA!!!” “AIAIAIAI CHE MALE!!” “BRUCIA!!”
Il colpo a sale e pepe che gli ha spolverato i culini glieli fa bruciare come fosse fuoco!
Pinin e i suoi ridono come matti mentre i pirati di fiume si contorcono cercando di farsi fresco con l’acqua.
Per mezz’orasi godono lo spettacolo finché, quello grande e grosso, massaggiandosi il sederone, fa “Non si trattano così i pirati…”
“Come?” fa Little Tony “Siete dei pirati anche voi!?”
“Si” risponde il capo, piagnucolando “Siamo i pirati di fiume!”
“Porco l’ocone ragazzi” dice Bobby Solo che, come al solito, era stato zitto tutto il tempo “Abbiamo sparato su dei fratelli della costa!”
“Fratelli magari no” dice Pinin “Magari dei cugini”
Poi, sporgendosi, “Dai, venite su, che siamo pirati anche noi!” E cala una corda.
Ma i pirati di fiume non si muovono, poi il Capo dice “Ma non è che ci fate cadere un’altra volta eh?”
Pinin li rassicura e così i sette sgocciolanti salgono sul Criceto dei Mari.
E poi, sopra, si presentano e il capitano dei pirati di fiume, Gionni Spacca, rimane mezzo imbambolato a sapere che Pinin e i suoi sono pirati veri, di mare!
“Ma noi non sapevamo… Non avevamo capito… e poi! Non c’era neanche la bandiera nera col teschio!”
“E certo” Fa Pinin, “Secondo te metto su la bandiera dei pirati sul fiume, che se mi vedono mi sparano dalle rive!?”
E tutti giù a ridere.
Allora hanno fatto amicizia e una bella cena, dopo Pinin gli ha regalato quattro pistole moderne, tutte belle lucide, che a vederle Blackie ha subito buttato il suo pistolone arrugginito in acqua.
“Orco Gionni!” ha detto “Hai visto che roba!?! Adesso sì che facciamo paura davvero!!”
Gionni non voleva essere da meno e ha regalato a Pinin quattro bei pescioni tirati su dal fiume lo stesso giorno, che già Little Tony voleva metter su un fuocherello per farli alla brace, anche se avevano appena finito di mangiare.
Si sono salutati come compagni di briganterie e si sono lasciati, ma da quel giorno i pirati di fiume non hanno più provato a assalire una barca più grande delle loro, che non sai mai cosa ti può capitare…

Il gommista più veloce del West


Tanti anni fa, nel selvaggio West, dove la vita di un uomo valeva solo la prontezza delle sue pistole giunse un giovane immigrato calabrese, Pino Barile.

Pino non era un tipo litigioso, non aveva neanche la pistola, e si stabilì nella tranquilla cittadina di Whichita Falls, dove regnava la legge e l’ordine.
Per non stare con le mani in mano decise di aprire subito la sua attività e così i cittadini videro questo ragazzo affittare un negozio con annessa officina e, nel giro di una settimana, orgogliosamente alzare l’insegna “pino Barile - Coperture in gomma”.

Ora, all’epoca, le automobili non c’erano, anzi non erano neanche state inventate, le motorette uguale e di biciclette, in tutta la città, ce n’era solo una, quella della bella figlia del Sindaco, la signorina Eliza.

Pino però non era un tipo da castelli in aria e si mise subito a illustrare ai suoi concittadini i benefici che le applicazioni della gomma potevano dare.

Convinse Old Wild Jack, un mandriano, a farsi gommare il cavallo e gli mise su quattro copri-zoccoli in gomma, con un battistrada che teneva da far paura anche sul bagnato.

Al Saloon non si parlò d’altro per una settimana; e chi diceva che non pensava che Jack fosse un tipo effeminato e chi, invece, diceva che finalmente il progresso era arrivato anche a Wichita Falls.

Quando, una sera, finalmente Jack passò per il suo cicchettino lo subissarono di domande: come andavano ‘sti zoccoli nuovi, perché li aveva messi, cosa costavano, se aveva notato un incremento nei consumi.

Jack disse che, da quando aveva istallato i nuovi copri-zoccoli il vecchio Trappola, il suo cavallo, andava molto meglio su e giù per i canyon, teneva di brutto, e che erano molto silenziosi, roba utile quando dovevi arrivare di soppiatto sul vitello che era scappato.
D’altra parte però tutto ‘sto silenzio nella prateria non è che servisse molto e, quando - occasionalmente eh? - Jack si faceva una gollata di troppo e perdeva Trappola, era dannatamente difficile ritrovarlo, adesso che che non faceva più rumore!

Insomma la discussione lasciò quasi tutti sulle proprie posizioni, tranne Jim Roscoe che, avendo accennato alla cosa dell’effemminato, grazie ad un bel cazzottone che Jack gli aveva assestato spedendolo fuori dal saloon, si ritrovò seduto in mezzo alla strada…

Ma ‘sta roba del silenzio giunse alle orecchie, cosa un po’ strana visto che era un silenzio, delle signore di Wichita Falls.

Il giorno dopo erano già in coda da Pino, per farsi gommare i loro cavalli e non sentire più quel fastidioso scalpitio quando andavano dalla modista o in passeggiata.

Pino, che sapeva cogliere le opportunità, propose loro, con un piccolo costo extra, una vasta gamma di fantastici colori: nero, nero un po’ più chiaro, nero quasi grigio e un bel grigio che subito diventò il colore di grido, tutte volevano averlo!

Il reverendo Johns, il pastore del paese, corse dal sindaco perché fermasse questo abominio; se il Signore avesse voluto dei cavalli silenziosi li avrebbe fatti con gli zoccoli già di gomma e, insomma, era il momento che si fermasse questa fiera di vanità inutile.
Il sindaco, che aveva una moglie graziosa ma un po’ battagliera, decise subito che il male minore era mandare a stendere il prete, piuttosto che sentire le urla di quella strega di sua moglie e liquidò il buon pastore dicendogli che non capiva come mai la Chiesa, questa volta, si opponesse al progresso umano; non era mai successo!

Colto impreparato il reverendo se ne andò, ma meditava la sua vendetta verso quel malefico italiano che aveva corrotto le pecorelle del suo Gregge…

A Pino però, dopo l’iniziale successo, le cose non è che andassero poi così bene: tranne qualche sparuto caso i Cow-Boys non si erano fatti convincere dal gommare i loro cavalli e, ormai, quasi tutte le signore di Wichita Falls avevano fatto l’acquisto.
Pino si era inventato delle migliorie, come un nuovo battistrada più adatto alla velocità, aveva sperimentato con dei nuovi colori che, però, tendevano tutti inesorabilmente al nero. 

Aveva addirittura organizzato una serata di informazione, affittando il granaio di McTurner, dove aveva spiegato come era importante fare un controllo degli zoccoli periodicamente, soprattutto in previsione di qualche viaggio lungo.
Ma gli affari languivano.

Solo la bella Eliza gli portava spesso la sua preziosa bicicletta, ma erano più che altro visite di cortesia, perché Eliza non sapeva andare in bicicletta e le sue ruote erano immacolate come il giorno che il babbo gliel’aveva regalata…

Si era adattato a usare la gomma per altri scopi, come sistemare lo scarico del lavandino del Saloon, ma erano lavoretti di poco conto, che non gli piacevano e che gli fruttavano poco.

All’inizio della primavera il Sindaco, tutto emozionato, radunò i cittadini per annunciare che, da lì a poco, sarebbe passato per Wichita Falls il corteo reale della regina di Cappadocia, in visita ufficiale nel selvaggio West.
Era un’occasione per far parlare della loro città nel mondo intero e non potevano perdersela.

Stabilì quindi che tutta la cittadina andava ripulita, le strade liberate da immondizia o sterpaglie, le case e i negozi rinfrescati e ridipinti, insomma si doveva tirare a lustro Wichita Falls per una visita così importante!

Anche Pino fece la sua parte; dopo aver abbellito il suo negozio con una nuova sgargiante insegna aiutò altri a fare lo stesso.
Diede anche la dimostrazione di una sua nuova invenzione, il tubo di gomma, con cui - collegandolo ad un rubinetto, si poteva spruzzare acqua a distanza, per lavare facciate o bagnare le strade.
L’invenzione fu molto apprezzata, ma ebbe scarso successo, anche perché l’unico rubinetto del paese era nel saloon e gli altri l’acqua la prendevano dai pozzi.

Insomma per il gran giorno Wichita Falls era così brillante che la si poteva vedere a miglia di distanza.

Verso le quattro le vedette mandate dal Sindaco corsero in città a riferire che il corteo reale stava arrivando, e che corteo!

Dopo un battaglione di guardie reali di Cappadocia a cavallo, tutti impettiti nelle loro corazze e nei loro elmi piumati, passarono le truppe a piedi, i temutissimi Falangisti di Cappadocia (o Faladocia per brevità) con il loro caratteristico profumo di bagnoschiuma Vidal, poi sfilarono le carrozze dei dignitari, dal primo segretario di Sua Maestà, al secondo, al terzo, giù giù fino al Gran Provveditore di Marchedabollo da cinquanta, per finire con le carrozze del Gran Ciambellano e del Gran Tazziere, che servivano personalmente, ogni mattina, la colazione di Sua Maestà.

Infine, sfavillante di oro e di specchi, il cocchio reale di Cappadocia; una carrozza enorme, trainata da sedici cavalli bianchi con le criniere tutte infiocchettate, che sapevano nitrire anche in francese.

Giunto davanti al municipio il cocchio reale si fermò e l’araldo proclamò l’arrivo della Regina:
“Sua altezza reale, Donna Augustina Fernanda Giuseppa Carlalberta terza, Regina di Cappadocia, Duchessa del Belize, Signora di Isernia e Molfetta, Dama del Baden Wuttemberg, Prima Ragioniera di Francia, Conquistatrice della Kamchatka a Risiko, coinquilina del Re del Belgio, citofono A3”

Accidempoli! Nessuno a Whichita Falls aveva mai sentito un nome così lungo e il Sindaco, che non voleva far figure, pensò bene di presentarsi come:
“Il molto onorevole Dottor Floyd Teofilo Patterson, di fu Rudolph e McIntyre Agatina, Sindaco di Wichita Falls, membro del consiglio di sagrestia, anche capo dei pompieri e poi primo accalappia cani della contea di Wichita”

I suoi concittadini se la risero un po’, soprattutto ripensando al fatto che, l’unica volta che il Sindaco aveva fatto l’accalappia-cani, aveva scambiato un lupo per un randagio, e il lupo non l’aveva presa benissimo…

Comunque, fatte le presentazioni, la regina fece riferire che avrebbe volentieri preso parte al ricevimento in suo onore la sera stessa, tipo otto, otto e mezza. Ma adesso andava a riposarsi perché si sentiva un po’ stanca per il viaggio.

La sera infatti, durante il banchetto, raccontò che il cocchio reale mal si adattava alle piste e agli sterrati del selvaggio West, e che ogni trasferimento fino a Wichita Falls era stato molto pesante e doloroso per le sua reale persona e, soprattutto, per le sue reali chiappe.

In realtà non si espresse proprio così, ma fu così che i cittadini capirono il problema.

Anche Eliza era al banchetto e quando Pino la cercò, perché a Pino Eliza piaceva parecchio, la trovò tutta raggiante.

Un inglese al seguito di sua Maestà, un certo colonnello Dunlop, le aveva promesso di insegnarle ad andare in bici!!

Questo Dunlop era un damerino un po’ schifezzello e fetentuccio, e si capiva che della bicicletta di Eliza non gliene fregava niente ma che volentieri se la sarebbe portata a Londra per mostrarle il Big Ben.
Squadrò Pino dalla testa a i piedi con un sogghigno, e poi disse ad Eliza, “venga cara, andiamo a fare due passi senza mischiarci con il popolo…”

Pino stava per rispondere ma poi vide che Eliza era felice come una pasqua e non la smetteva di raccontare a tutte le sue amiche la storia della bicicletta, così si allontanò e ci rimase solo un po’ male. 

Tornò a casa pensando alla serata, alla carrozza di sua Maestà e alla bicicletta di Eliza.

Il giorno dopo, di primo mattino, si precipitò nell’ufficio del Sindaco.

“Ho la soluzione!” Gridò.

Il Sindaco, appena svegliato, a momenti ci rimaneva secco!

“Ma Pino! Che modi sono!? A quest’ora poi!?!?! E che soluzione??!”

Pino gli disse che aveva trovato il modo per far veramente parlare di Wichita Falls in tuto il mondo, che si fidasse di lui e che gli garantisse l’accesso al cocchio reale di Cappadocia.

Il Sindaco non voleva problemi, però l’idea di veder diventare famosa la sua città non gli dispiaceva.

In breve convinsero il palafreniere e l’araldo reale a farsi una bevuta, offerta dal Sindaco, al saloon, così che Pino potè lavorare tutto il giorno sul cocchio.

Alla sera il Sindaco fece dire a Sua Maestà che gli avrebbe fatto piacere portarla a fare un giro per la prateria, per farle vedere i dintorni.

Sua Maestà non ne aveva proprio voglia: “un altro giro per queste strade polverose e scomode? Non penso proprio!!”
Ma il Gran Ciambellano, aiutato dal Tazziere e dal Cioccolatiere caldo, la convinsero che non si poteva fare uno sgarbo così a quei simpatici villici.

Così, a malincuore, la regina Augustina salì su cocchio Reale, dove già l’aspettava il Sindaco.

Si avviarono verso la prateria e, sin da subito, la Regina si complimentò con il suo ospite perché non sentiva sobbalzi.
“Sa Signor Sindaco? É la prima volta che trovo delle strade così ben tenute, davvero le migliori del West!”
Il Sindaco gongolava. Diceva “Grazie Maestà, grazie.” E intanto si fregava le mani.

Ad un certo punto anzi si sporse verso il cocchiere e disse “Qui puoi andare anche un po’ veloce, che così è più bello!”.

La Regina già si era fatta bianca in volto: “Ma cosa dice!? Come si permette!?! Vuole che ci frulliamo qui dentro? Non sa che ogni sasso sulla strada è come una pugnalata nel mio… nel mio… nel mio personale?!?”

“Vedrà Maestà, vedrà…” diceva il Sindaco.

E, più che vedere, la regina sentì.

Un bel nulla.

Non uno scossone, non un balzo, non un cigolio sospetto dal divano della carrozza.

Le reali chiappe erano realmente comode!

Un successone!

Tornati in città la Regina volle conoscere personalmente il responsabile del miracolo e così le presentarono Pino, che le spiegò che si era limitato a mettere dei nastri di gomma sulle ruote del cocchio e dei pezzi di gomma spessa tra il cocchio e le ruote stesse.

La Regina di Cappadocia decise sull’istante di concedere un’onorificenza a Pino quando si sentì una voce dal fondo della sala.

“Beh? Non è mica un’idea nuova…”

Era il Colonnello Dunlop, quello che voleva insegnare a Eliza ad andare in bici.

“Nel mio paese queste cose si fanno già, ci sono parecchi gommisti.” disse.

Gommisti!?! Pensarono tutti. E che cos’era un gommista?!?

E Dunlop spiegò, con sufficienza e un po’ di noia, che quel Pino non aveva fatto niente di sbalorditivo, aveva solo copiato (disse proprio copiato, come se Pino fosse un copione!) quello che in Europa facevano già in molti.

Il Reverendo Johns, quello che meditava vendetta da tempo, non sapeva se gioire per la brutta figura di Pino o disperarsi perché questo abominio della gomma aveva già preso piede in Europa, Nel dubbio sorrideva furbetto, però passava tra le sue pecorelle seminando sospetto e paura, cosa che un uomo di Chiesa non fa mai.

La Regina aveva già messo via la spada da cerimonia (non si poteva mica fare cavaliere un copione) e chiese al Dunlop di spiegare bene.

“É semplicissimo Maestà”, disse quello “uno gli porta la carrozza e, nel giro di due o tre giorni, la va a ritirare ed è completamente silenziosa e confortevole quindi…” 

Ma non potè finire, perché Pino lo interruppe con un grido

“DUE O TRE GIORNI!?!?!”
“Ma che razza di fannulloni siete se io, che era la prima volta che lo facevo, ci ho messo meno di quattro ore!?!”

“Questo è impossibile” sbraitò Dunlop “Oltre che copione sei anche un gran bugiardo!”

“Bugiardo a me!?!” Disse Pino (perché nel West dare del bugiardo non era proprio bello, anche più brutto di farlo adesso a Mogliano Veneto o a Radicofani) “Ti faccio vedere io!”

Così, anche con l’aiuto del Sindaco che voleva difendere l’onore di Pino e di Wichita Falls, organizzarono una gara di velocità.

Furono portate due carrozze identiche davanti al negozio di Pino, su una avrebbe lavorato lui e sull’altra Dunlop, per vedere chi faceva prima.

Al suono della trombetta del vice-maresciallo aggiunto dei corazzieri reali la gara partì.

Subito si capì che non c’era gara: mentre Pino si era messo al lavoro immediatamente Dunlop, tutto preoccupato dallo sporcarsi la giacchetta, aveva cercato uno straccio, perché non voleva ungersi.
Poi si era lamentato che le ruote erano troppo pesanti.
Poi che i sedili della carrozza puzzavano di sigaro.
Poi che faceva troppo caldo.
Poi che c’era polvere.
Poi che lui si era appena fatto fare la manicure dalla sciampista reale e così si rovinava le mani.
Poi che…

“FINITO!” Urlò Pino.

E aveva finito davvero!

Tra gli applausi del pubblico e i complimenti del Sindaco Pino mostrò il suo lavoro alla Regina, che volle fare un giro subito sulla carrozza preparata da Pino.

Ne scese dicendo che era ancora più comoda del cocchio reale e che, anzi, la comprava subito perché così si che era un bel viaggiare.

A sera, di fronte alla cittadinanza, spontaneamente ed entusiasticamente tutta riunita, la Regina fece inginocchiare Pino davanti a lei, sguainò lo spadone da cerimonie e lo nominò, sul posto, Grand’Ufficiale dell’Ordine della Reale Comodità di Cappadocia.

Pino la ringraziò e poi disse, “Senta Maestà, mi scusi se approfitto, ma non ci sarebbe un modo per farmi un po’ di pubblicità? Sa, qui, gli affari vanno un po’ a rilento…”

La Regina si consultò con il Ciambellano, il Tazziere, Il cioccolataio Caldo e, questa volta, anche il gran Marmellatiere alla Fragola, vista l’eccezionalità della cosa. 

Poi si voltò e disse:

“Noi Augustina di Cappadocia, conferiamo al Grand’Ufficiale Pino Barile il titolo onorifico di 
GOMMISTA PIÚ VELOCE DEL WEST!”

Venne giù il teatro! 

Pure il Sindaco si commosse e piangeva come un agnellino così che, quando Eliza le disse che quel Dunlop era un cretino e che lei voleva sposare il Pino, dovette dire di sì tra mille singhiozzi di contentezza.

Da quel giorno Pino divenne il cittadino più famoso ed ammirato di Wichita, ma anche del West. E venivano anche da lontano, tipo Tucson o Chattanooga, per farsi modificare le carrozze da lui.

Ed Eliza?

Beh, per farsi perdonare di essere stata attratta da quel manichino del Dunlop chiese a Pino di insegnarle lui ad andare in bicicletta, ora che erano marito e moglie.

E il Pino disse “non c’è mica più bisogno che te impari, ho già fatto la modifica, guarda.”

Le aveva messo le rotelle.