giovedì 30 agosto 2018

La solitudine.


So che le cose tra noi non sono mai andate molto bene.
Io sono fatto a modo mio e tu, tu sei fatto… a modo tuo.
Devi capire, io mi sono trovato a fare il padre quando… quando non ci pensavo, è stato tutto un po’ improvviso e, lo sai come sono fatto, per me è stato difficile.
Lo so cosa ti racconta tua madre, le sere da sola, con un figlio appena nato, io che tornavo tardi perché, perché c’avevo da fare…
Ma non era la mia vita, capisci?
Io avevo le mie cose da seguire, i ragazzi, giù al parco, e poi la mia vita!
Le partite, le trasferte, sai che sono sempre stato uno sportivo.
Si, per te queste cose non sono mai state importanti. Lo so.
L’ho capito quando hai cominciato a crescere e volevo portarti con me, nonostante tua madre non volesse.
Alla prima partita importante ti sei messo a frignare perché ti sentivi schiacciare dalla gente in fila, ti ricordi? Non mi sono mai vergognato così tanto, con tuti i miei amici intorno poi!
Ma ci abbiamo riprovato, vero? Solo che a te non t’interessa lo sport…
E abbiamo provato tutte le cose che fanno i padri con i figli, no?
Come il campeggio, e sei scappato via quando mi sono dovuto menare con quello della roulotte, ti ricordi? Quel grassone che si lamentava perché tenevo lo stereo troppo alto… che botte! Ma tu non c’eri, ti ha riportato alla sera la mamma della tua amichetta… per fortuna, perché se no i poliziotti mi avrebbero portato via, sei che risate!
A scuola vai bene, anche troppo, i miei amici dicono che sei il secchione del quartiere, che fai fare brutta figura ai loro figli.
Ho visto quello che leggi, i libri che ti fai comprare da tua madre, oppure quelli che ti presta quel cazzo di professore, quello piccolo e sfigato… cazzo, non si capisce niente già dal titolo! Chiaro che gli altri ti pigliano per il culo! Leggi quella roba!!
Che poi non saranno dei super geni ma sono ragazzi normali, è chiaro che uno come Alex Niedermayer fa un po’… fa un po’ il bullo con te, ma anche tu! Piangere perché ti ha bruciato un libro!! Sai che figura ci ho fatto, giù al bar!?!
Continuano a pigliarmi per il culo appena si parla di figli. Sai quanti cazzotti ho dovuto dare?!? Ad un certo punto Floyd, lo conosci, il barista, ha imposto che non si parlasse più di figli e famiglie, oppure mi buttava fuori per sempre!! Con tutti i soldi che gli ho lasciato in quel suo bar di merda!!!
Ci manca solo questo! Sbattuto fuori dal mio bar perché mio figlio non sa difendersi da solo! Pazzesco!
Ma tu niente, manco ti accorgi del culo che mi faccio per sistemare le cose. No, tu passi il tempo a casa sui libri oppure alle mostre!
Sempre a ‘sti cazzo di musei con tua madre e con quell’altro, come si chiama, Robert!
Vi ho detto che non mi piace quello lì, con quei modi da… da… frocio! Ecco, l’ho detto, ci ho anche litigato con tua madre!
Mi sta sul cazzo vederti girare sempre con quello lì!
Non posso neanche pensare che tu, che MIO figlio… che, insomma, hai capito no?
Jimmy, l’altra sera, ha fatto una battuta che non mi è piaciuta. Così l’ho aspettato, fuori dal bar eh?
Minchia come l’ho conciato! Sputava sangue quando mi ha giurato che non lo farà mai più!!
E per fortuna sua Frankie mi ha fermato, altrimenti a quest’ora col cazzo che ero qui!
E i ragazzi ridevano, ma ridevano con me, sai?
Nessuno si permette di ridere alle mie spalle dicendo che mio figlio è… è… malato…
Che poi Frankie, sai Frankie, quello del bowling, quello che fa l’infermiere all’ospedale… beh lui mi ha detto che è una cosa che si cura, che ci sono delle pillole, delle iniezioni, che sono quelle che si fanno i tipi che vanno in palestra.
Lui potrebbe procurarmele, perché non sono robe che si comprano in farmacia… see, ci manca solo che vado in farmacia a comprare le robe per farti diventare… insomma, ti immagini? Dovrei fare a cazzotti con mezza città!!
Potrei anche farcela eh? Ma tua madre poi, chi la sente?
Sai quante volte abbiamo litigato su ‘sta cosa?
Beh, lo avrai sentito anche tu, no?
Lo sai che le voglio bene, ma quando mi fa imbestialire… è più forte di me!
Ma ci vado piano, cazzo! È la mia donna! Non voglio mica che vada in giro tutta pesta, che poi pensano che non sono in grado di fare il capofamiglia!
Certo, tu non mi aiuti; ormai litighiamo solo per te!
Anche ieri, quando mi ha chiesto se avevo pensato ad un regalo per te, per oggi, che compi diciotto anni.
Certo che l’ho pensato, cazzo! L’avevo anche già comprato! Ma figurati se le andava bene!
S’è messa a urlare che sono un pazzo, che non vuole che tu diventi come me!!
Che cazzo c’ho di sbagliato, io?!?
I ragazzi invece erano tutti d’accordo, per una volta che c’ho avuto una buona idea!
Sono andato con Frankie, giù al negozio.
Guarda qua, guarda che gioiellino… è un 22, vedrai che riesci a maneggiarlo perfettamente, sembra niente ma è capace di tirar giù parecchia roba, anche a distanza.
Frankie dice che ti porta lui, le prime volte, che io sono un casinista.
Vedrai che ti divertirai con noi, così lasci perdere un po’ i libri e stai con i ragazzi… con noi insomma.
Farti avere la licenza sarà facile, Frankie ha un amico in associazione, così stai all’aria aperta, a fare una roba vera, da maschi.
Di sicuro più facile che comprarlo, che adesso un uomo, per comprarsi un’arma, deve riempire quintali di scartoffie, maledetti cagasotto del governo!!
Sparare ti farà bene, ti farà sentire… uomo, e magari ci scappa anche qualche bevuta sai? Non si dovrebbe, ma noi ce ne freghiamo! Joe riesce sempre a portare due fiaschette di un torci budella meraviglioso e, se va bene, ci arrostiamo al fuoco quello che becchiamo e lo innaffiamo di birra, che Frankie ne ha sempre una cassa nel camioncino.
Bravo, si tiene così, vedi che c’hai già la mano?
Cos’è?! Non ti piace!?
C’aveva ragione tua madre allora? Dovevo comprarti un libro!?! O forse preferivi una bambola? Eh, una bella bambolina per la mia femminuccia??
Manco ti volevo e guarda che figlio mi sono trovato, pure l’assistente ha chiamato quella stronza di tua madre!
Un’altra fighetta che non piglia cazzi a spiegarmi che sarei dovuto “starti vicino”!!!
Io non sto vicino ai froci!! E neanche ai mocciosi rompicoglioni!! Sono un uomo, io!! Un vero uomo!!
Cazzo fai adesso!! Piangi?!? 
Cos’è!? Ho “urtato la tua sensibilità”?? Parla, Cristo!!
No, papà, non ho niente. Grazie del regalo, era proprio quello che volevo.
Piango perché penso alla mamma, tutta sola in questa casa, quando verranno a portarmi via…
Chi cazzo deve portarti via!! E abbassa quel fu…
Bang.


Il caldo.


Il caldo era opprimente.
All’interno, dove avevano creato le aree di sostenibilità, ancora ancora si respirava: il verde, l’acqua sintetica e l’irradiazione solare filtrata del centro tenda davano almeno una sensazione di temperatura accettabile, ma lì, al Bordo, il caldo desertico penetrava la struttura senza pietà.
Che bel mestiere di merda hai trovato Gordon, pensò l’uomo, mentre si dirigeva verso l’agglomerato di costruzioni, a poche centinaia di metri dal Bordo.
Si corresse mentalmente, lì non avrebbe mai potuto vivere: isole abitative contornate da campi di riconversione, dove si accumulavano rifiuti e rottami per essere poi selezionati e riciclati secondo necessità e priorità dagli operai che ci abitavano.
Certo, il mestiere era di merda ma, almeno, l’alloggio glielo avevano assegnato in terza fascia,
Non proprio il centro tenda, lì ci vivevano solo i Coltivatori, e neanche la seconda fascia, occupata dai Necessari.
Lui, come Utile, poteva contare su un monolocale al 38°, e certo non se ne lamentava.
A piedi, meglio non farsi vedere in bicicletta da queste parti, era arrivato alle unità abitative dei Marginali.
Scavalcò il fascio di cavi che dagli specchi fuori Bordo portavano l’elettricità alle case, nel vano tentativo di rinfrescarle con i ventilatori, e si avviò verso l’unico bar della zona.
Entrò; un’unica sala dominata dalle pale del ventilatore sul soffitto, che giravano lentamente.
Chiese una birra, asciutta ovviamente, e si sedette ad un tavolo in fondo, tirando fuori dalla cartella un fascio di carte da esaminare, come fosse un controllore dell’approvvigionamento qualsiasi. Nessuno fece caso all’ennesimo sconosciuto passato di lì per cercare refrigerio e Gordon incominciò a lavorare.
Ascoltava, ascoltava per ore le chiacchiere più casuali, dalle inutili alle penose. Quanto parlano gli uomini al bar.
Proprio mentre stava per ordinare la seconda birra (mai più di due, avrebbe dato nell’occhio, o qualcuno avrebbe iniziato a parlare a lui) percepì il segnale.
L’uomo, un magrolino che intravedeva di spalle, al bancone, aveva risposto ad una discussione sul quantitativo settimanale di rottami da cui estrarre metalli rari.
Una discussione come tante altre, già sentite altre volte, ma la risposta dell’uomo aveva attirato l’attenzione di Gordon.
Aveva detto: “E avranno ragione tutti ‘sti scienziati!”
Una frase su cui nessuno, in quel posto sperduto nel caldo, era intervenuto.
Ma Gordon l’aveva notata. Era un segnale.
Attese che l’uomo finisse di bere e abbassò lo sguardo, giocherellando con il piatto della birra.
Quando la luce della porta che si apriva colpì il suo tavolo rialzò lo sguardo e colse la sagoma dell’uomo stagliarsi contro il muro di luce infocata dell’esterno.
Senza fretta pagò e uscì, guardando casualmente il suo orologio per fingere un impegno.
L’uomo camminava lentamente lungo il bordo dei palazzi; Gordon lo seguì, avendo cura di maneggiare un pezzo di carta che non aveva riposto nella cartella, come a cercare un indirizzo.
Lo vide entrare in un blocco di soli tre piani, come erano molti lì, al Bordo, e lo seguì senza fretta.
Con il passe-partout entrò nell’androne e ascoltò i passi dell’uomo sulle scale, contandoli.
Alla chiusura della porta calcolò il piano e, con una rapida occhiata al ballatoio, anche quale porta l’uomo si era chiuso alle spalle. Non un lavoro difficile per chi aveva l’esperienza di Gordon.
Nei primi anni era stato più facile: non si nascondevano, pensavano addirittura di fondare un partito.
Solo quando le immagini del Presidente e degli industriali, consegnati al grande deserto, erano state diffuse la cosa era diventata molto più difficile.
L’opinione pubblica si era divisa: chi aveva esultato e chi aveva gridato che era inumano.
Ma sotto le tende lo spazio vitale era esiguo, non c’era posto per tutti.
Qui, dove una volta c’erano gli Stati Uniti d’America, era andata anche bene: Ogni città con almeno un milione di abitanti era riuscita a costruirne una.
In tutta l’Africa ce n’erano solo sette.
Sette, e neanche tanto grandi.
Poi c’erano gli autonomi che, in qualche modo, un po’ in tutto il mondo, erano riusciti a costruire delle strutture simili; ma spesso mancavano dei sistemi di riconversione energetica, del riciclaggio, oppure si fidavano ancora a usare l’acqua naturale, con conseguenze che nessuno poteva immaginare.
Gordon bussò.
L’uomo, senza neanche chiedere chi fosse, aprì; sorrideva.
“Mi scusi, pensavo fosse… fosse la vicina… chi è lei?!”
“Gordon Wallace, ispettore della Localizzante, potrei parlarle?”
In una frazione di secondo l’uomo cercò di richiudere la porta, ma Gordon aveva già in mano la paralizzatrice, e lo stese.
Spingendo il corpo dell’uomo, ormai inerte, aprì a fatica la porta e la richiuse. Doveva indagare e non voleva essere interrotto da vicini pietosi o amici compiacenti.
Il monolocale era ordinato, il compito sarebbe stato più facile.
Il computer sulla scrivania era pulito, Gordon lo sapeva già, ma aveva fatto il solito controllo di routine, giusto per vedere se riusciva a risparmiarsi un po’ di seccature.
Allora si mise a cercare, e lo trovò subito.
Nascosto tra magliette e altri oggetti trovò un computer di circa dieci anni prima, un classico, Gordon si chiese perché non se ne liberassero mai.
Con il monitor universale, che permetteva di connettersi anche con porte e protocolli ormai obsoleti, lo accese.
Dai documenti dell’uomo, ancora semi stordito, appurò che si chiamava Roger Banks; la password non era Regor (primo tentativo) ma Skanb; certa gente non aveva proprio fantasia.
Poi cercò, e trovò quello che cercava.
Centinaia di post su siti social, con un’id ormai inesistente, in cui Roger Banks irrideva alla minaccia del cambiamento climatico, lettere irate in cui Banks tacciava gli “scienziati”, con tanto di virgolette, di essere dei meri annunciatori di disgrazie al soldo di qualche multinazionale salutista.
Tanto gli serviva.
Dopo il grande Cambiamento, quello che aveva desertificato il mondo e costretto i sopravvissuti ad organizzarsi in una nuova società, all’ombra delle tende, i negazionisti erano stati condannati, tutti.
Certo, non se ne faceva più grande notizia, come nel caso del Presidente e dei suoi amici industriali, ma un posto, uno spazio vitale in più e una bocca in meno sotto la tenda facevano sempre comodo.
Mentre Roger Banks si riprendeva, guardando atterrito il suo vecchio computer e le verità sul suo passato che conteneva, Gordon compose il numero della centrale.
“Peter? Sono Gordon; sono al Bordo, quadrante Nord-Ovest, blocco 248. Ne ho trovato uno. Mandami una squadra di accompagnatori, che il signore qui sta per farsi un viaggetto al caldo.”


Hic Id Vis*


Il vecchio dietro la scrivania chiuse l’incartamento e tornò a guardare l’altro, seduto su una sedia di fronte a lui.
“Quindi, è più chiaro adesso Professore?”
“Ma… io… lei…”
Il vecchio sbuffò, aprì un fascicolo, scorse alcuni fogli e ne prese uno.
“Lei ha un curriculum straordinario: studi impeccabili e responsabile della ricerca della più importante azienda farmaceutica a soli 34 anni. Ciononostante mi sembra che lei si sia un po’ rinc… scusi” - si interruppe - “diciamo smarrito?”
“Ma io, non pensavo, non credevo…”
“Ah beh, si, certo; lei è stato un uomo di scienza, quindi queste cose della vita dopo la morte, dell’aldilà, del credere, appunto.”
“No! Non vorrei essere frainteso ma, capirà, tutto questo, in un solo giorno… e poi qui, io, di fronte a lei…”
“Un giorno?” Ridacchiò l’altro.
“Professore, lei è morto quarantaquattro anni fa! Altro che un giorno!”
“Quarant…” il Professore si contorse sulla sedia.
“Qui il tempo è diverso, grazie a Me! Altrimenti come crede che potrei fare a stare dietro a tutti quelli che arrivano fin qui?”
Si accese una sigaretta, poi continuò.
“C’è una lista. Con dati e tutto. Per alcuni è una stretta di mano: bravo, siamo felici che tu sia qui, adesso goditela. Per altri, come lei, mi ricavo qualche momento di più, anche per tenermi un po’ aggiornato sa? Va bene l’onnipotenza ma i numeri sono numeri, e quindi qualcuno aspetta un po’ di più, ma – sia chiaro – senza accorgersene.”
“Quindi…”
“Quindi, siccome ci tenevo a fare quattro chiacchiere con lei, mi sono permesso di farla aspettare un po’, tutto qua. Come vede lei neanche se ne è accorto.”
“Ma… perché?”
“Perché? Professore lei è stato un benefattore dell’umanità.. Lei ha dedicato la sua vita a salvare altre vite, se lo ricorda questo? Non ce ne sono mica più tanti così!”
“Quindi, adesso, io sarei, io sono…”
“Oh! ci è arrivato! Proprio così, lei è  in quello che di là chiamano paradiso, e se lo è guadagnato!”
Il Professore reclinò la testa sul petto poi, sommessamente, iniziò a singhiozzare.
“Ma cosa fa?!? Piange adesso?? Professore!! Ma lo sa che cinque minuti fa ho parlato con un monaco benedettino che, quando ha capito, ha fatto una corsa che neanche Tardelli quando ha segnato alla Germania in finale??”
“Sa che poteva andare peggio!?”
“Perché, perché c’è anche…”
“Chiaro che c’è! Eccome se c’è!! Non è proprio come se lo immaginano di là, ma c’è. Sicuro.”
“E, e come…”
“Ma niente di che, sa? É una sala d’aspetto. Un po’ spoglia, triste. Sedie scomode e niente da leggere.” Ridacchiò.
“O-Me da leggere ci sarebbe anche, ma solo due o tre bollettini del CRAL postelegrafonici fotocopiati male; non per cattiveria eh? Solo per fargliela pagare un po’…”
“Ma, ma perché io? Sono solo un chimico, ho fatto quello che tanti altri…”
“E no, Professore, lei mi è stato strumentale.”
; lei mi ha dato una mano.”
“Ma, come?”
“Professore! Si ricorda il “Male del secolo”? Il virus che colpiva solo i malvagi? Gli esecrabili?!?”
“Lei dice la sindrome da immunodeficienza…”
“L’AIDS Professore! L’AIDS!! Gli avete anche dato un nome sinistro, ci facevate le battute, se lo ricorda? “E’ un male inculabile” e tutti giù a ridere!!”
“No, io non…”
“Bravo Professore! Non lei! Lei ha agito da scienziato, ha ricercato l’origine, ha cercato la cura, ha speso i suoi giorni per trovare un antidoto, per debellarlo…”
“Ma non ci sono riuscito…”
L’uomo mollò una manata sul piano della scrivania, facendo traballare il portapenne.
“Non ci è riuscito dice! Ma certo che non c’è riuscito! Non poteva!!”
 “Come non…”
“Non poteva perché non doveva! Io ho fatto tutto quanto necessario perché lei trovasse i farmaci per lenire gli effetti del virus, non per debellarlo!”
“Ma, perché?”
“Perché?” Gridò il vecchio, “PERCHÉ!?!?”
“Ma si rende conto che vi stavate rincoglionendo? E la famiglia tradizionale, i cristiani rinati, i pregiudizi, il non mescolarsi e non fare questo e non fare quello… ma secondo lei ho messo in piedi tutta ‘sta roba perché quattro stronzi repressi decidessero come dovevate comportarvi?!??!”
“Ma la trasmissione del virus avviene…”
“Per via sessuale Professore, o perché qualcuno ha deciso di spararsi un po’ di paradiso nell’inferno che altri hanno creato per lui! Proprio così!”
“E per via sessuale intendo tutte quelle possibili Professore! Vi siete inventati che colpiva solo “quelli” e “quegli altri” e invece è un virus, non fa distinzioni di genere o morale, lui! Contro natura! Capisce?!?! Io a farvi buchi a destra e manca e loro a dire quale era quello giusto da usare!! Roba da matti!!”
“Ma la cura non è stata trovata…”
“Ma quale cura, per Me!!! Professore, ragioni, cosa ha notato nei pazienti cui ha somministrato i suoi farmaci?”
 “Che le loro aspettative di vita….”
“Bravo Professore! Che le loro aspettative di vita?” Disse l’altro, poggiando le mani sulla scrivania, come a spingerla.
“Si sono, si sono allungate.”
“Oh! Vede che ci sta arrivando?”
“Prendono i farmaci che - tanto per farci sopra due risate -impediscono al virus di trombare e vivono più a lungo dei cosiddetti sani!!!”
“Ma perché lei ha fatto, lei ha creato, tutto questo?”
“Per darvi un segnale, santo Me! Per farvi capire che stavate prendendo la via briscola, con tutti quei pregiudizi e quei razzismi! Per dimostrarvi che i prediletti, visto che li volete chiamare così, erano altri!”
L’uomo si accese un’altra sigaretta e si appoggiò allo schienale della poltrona.
“Ha presente i Bonobo? La roba migliore che ho mai fatto! Quelli non discutono, non litigano! Trombano e mettono le cose a posto, e non c’è maschio o femmina o natura e contro natura. Sempre belli rilassati i Bonobo.”
“Voi no, viva la Mamma! Voi state sempre lì a questionare su tutto: cosa credi, quanti soldi hai, da dove vieni, se sei sceso da una Rolls o da un barcone… ma si può vivere così?!?”
“Ma, non so se posso, ma se lei…”
“Dica Professore, dica, qui siamo tra amici.”
Il Professore si schiarì la voce.
“Ma se lei aveva questa… visione, perché non l’ha fatto, perché non ci ha fatto… così, come mi dice, da subito?”
L’uomo dietro la scrivania spense la sigaretta, alzandosi.
Andò alla porta dell’ufficio e la aprì, controllando se ci fosse qualcuno.
Poi la richiuse e tornò alla scrivania. Si accese ancora una sigaretta e si sedette sulla poltrona, accavallando le gambe e stendendosi sullo schienale.
Poi, tra i fumi della sigaretta, socchiuse gli occhi fissando il Professore.
“Sa cosa le dico Professore? Tra lei e me? È triste ammetterlo, ma quella roba lì del libero arbitrio è stata proprio una cazzata…”

*Questo è ciò che si vuole.

Per bene.


Il lumacoide era rientrato nel bar, gli occhi sbarrati alla ricerca di qualcosa, e si era fermato a distanza dal bancone.
Dopo qualche minuto, passati a roteare i bulbi oculari a destra e sinistra, diede fiato alla sua vocetta flebile e stridula.
“Scusate… ehm… scusate. Di chi è la Trifusion verde qui fuori?”
Nessuno, nel rimbombante rumore di fondo del bar, parve accorgersi di lui.
Ripeté la frase due volte, alzando un po’ il tono ogni volta, ma senza nessun effetto sulla multiforme folla del locale.
Finalmente il barista, un umano mutante a quattro braccia, si staccò dai gorgoglii della macchina del Kadvare, una Pavoni tutta cromata, e fece risuonare la sua, di voce.
“Allora! Chi è che c’ha una Trifusion verde qui fuori, che qui c’è uno che lo vuole sapere?!”
Il bar si ammutolì e, dal lato più lontano del bancone, quasi in fondo al bar, un Aardvardiano tutto placche si staccò dal gruppetto di suoi simili.
“È mia la Trifusion.” Disse con una punta di astio, “Cosa c’è?”
Il lumacoide si girò verso di lui, roteando sopra la pozza di bava che gli permetteva di muoversi.
“Ah! È che… no, niente, cioè, è che non posso uscire perché mi ha bloccato la mia…”
L’Aardvardiano non lo fece finire.
“E tu mi vieni a rompere le codde perché non sai fare manovra?! Ci passa un tram neambuliano, ci passa!”
E si voltò verso i suoi amici, che già stavano sghignazzando.
Il barista scosse la testa, sbuffò e torno alla sua Pavoni, mentre il Lumacoide, visibilmente in soggezione, iniziò a sbavare.
“È che… che non vorrei... sa, può capitare, cioè, non vorrei che, facendo manovra…”
L’Aardvardiano gli si fece sotto.
“Senti, molluschino, se non sei capace di manovrare quella roba con cui vai in giro allora lo sai cosa devi fare!?!”
“N-n-nn-no…”
“Aspetta che io finisca.” Rispose il piccoletto, tra le risate dei suoi amici e di qualche altro avventore.
Il Lumacoide si rattrappì su sé stesso, guardando con occhi tristi l’altro tornare verso i suoi, accompagnato dai loro fischi di approvazione e da qualche applauso.
Fu in quel momento che, dalla saletta laterale nascosta nel buio, uscì l’Ovatrax.
Enorme, ricoperto di peli e squame, si piantò di fronte all’Aardvardiano, che dovette alzare non di poco la scatola cranica per inquadrare il muso dell’altro, contornato da zanne e sormontato da due piccoli occhietti rossi.
“Il signore le ha chiesto di spostare l’astronave.” Disse l’Ovatrax con la sua caratteristica voce gutturale.
Il bar si era fermato, tutti guardavano la scena.
L’Aardvardiano, sicuramente un esemplare giovane, vide dietro il mostro di peli e squame gli sguardi dei suoi simili, e non volle perdere la faccia.
“E a te che ganglio te ne fr…” ma non finì la frase.
Con la protuberanza ossea inferiore l’Ovatrax fece volare il piccoletto dietro di sé, mandandolo a sbattere contro il muro di fondo, dove l’esoscheletro risuonò come uno xilofono caduto dal terzo piano.
Il mostro non ebbe neanche il tempo di girarsi che gli altri Aadvardiani, cinque brutti ceffi, gli erano già addosso.
Con le loro unghie retrattili completamente estratte si arrampicarono sulla schiena del gigante, pronti ad affondare la loro doppia fila di denti tra collo e capo, il punto debole di ogni Ovatrax.
Questi non si scompose più di tanto: si inclinò all’indietro e si lasciò cadere, schiacciando sul pavimento tre degli assalitori.
Uno dei due scampati, visto il gigante sdraiato a terra, pensò bene di estrarre l’arma, un deflettore termico tutto luccicante. Proprio nel momento in cui stava per incidere l’Ovatrax uno sputo di bava vischiosa gli incollò zampa e arma al bancone.
“Brucia! Brucia!” si mise a gridare, mentre il barista, sbattendo tutti e quattro i pugni sul bancone urlava “Le armi no!”
Ma era troppo tardi.
Interpretando lo sputo del Lumacoide come un gesto vile, almeno secondo le leggi marziali del suo pianeta, un guerriero Terdo di Zyclon aveva già estratto la sua spada, e stava puntando dritto verso il gasteropode.
Il Lumacoide non si fece sorprendere: emise un’enorme pozzanghera di bava e, roteando sul posto, colpì il guerriero con un preciso colpo di coda, spedendolo contro un tavolo di Bellerofontiani nel clangore della sua armatura.
Questi, gente mite e riservata, non avevano seguito la scena. Tutti inzuppati dei loro cocktails videro un Ovatrax rialzarsi a fatica e equivocarono.
Si gettarono contro di lui senza neanche darsi un segnale, e mal gliene incolse.
Il Lumacoide ne fermò due a sputi, lasciandoli ciechi e doloranti a lamentarsi per terra, l’Ovatrax prese le chele di uno degli altri due e, senza fatica, le infilò nel canale espellente dell’altro, causando in una sola mossa dolore, imbarazzo e anche qualche risatina dal fondo del bar.
Ma ormai la lotta era senza quartiere.
Il Barista riuscì a malapena a sparare due colpi di detonatore magnetico verso l’alto, prima che una Wallega infuriata - aveva scommesso sul Lumacoide morto - lo tramortisse con un colpo di proboscide sulla nuca.
L’Ovatrax e il Lumacoide, intanto, erano spalla a spalla e rispondevano, tra sputi, colpi di coda, schiaffoni e incornate, all’assalto degli avventori che, per un motivo o per l’altro, cercavano di colpirli con mani, pinne, tentacoli o qualsiasi altra cosa usassero come strumento di offesa.
Fu il primo Aardvardiano a decretare la fine delle ostilità, staccandosi dal muro dove l’avevano sbattuto.
Raccolti a fatica i tre schiacciati e ancora molto confusi, aiutò l’altro amico a liberarsi dalla morsa di bava urticante e poi, cercando il quinto della compagnia, urlò: “Andiamo via, veloci!”
L’urlo rimbombò per il locale e, insieme ai cinque piccoletti, la metà dei presenti, quelli che riuscivano ancora a camminare, strisciare o rimbalzare, li seguì, disperdendosi all’esterno.
Rimasti soli, e in posizione eretta, il Lumacoide e l’Ovatrax si guardarono attorno, inquadrando un tappeto multirazziale e multidolorante a terra, finché i loro sguardi non si incrociarono.
Il Lumacoide drizzò le antenne in forma di sorriso.
“Grazie, lei è stato molto gentile.” Disse.
“Si figuri, se non ci si aiuta tra gente per bene.”


Replay


Il presidente degli Stati Uniti, con sguardo corrucciato, si sedette sul divanetto della stanza ovale e si rivolse all’uomo in piedi accanto alla scrivania.
“Mi scusi ma… potrebbe ripetere, Dottor... Dottor?”
“Wallace. Gordon Wallace del NCSD.”
“Il National Cyber Securi…”
“Lo so!” rispose torvo il Presidente Wuzps, zittendo il consigliere per la politica interna, che si era affrettato a spiegare.
Wallace ruppe l’imbarazzato silenzio.
“Alcune settimane fa abbiamo iniziato a ricevere dei messaggi piuttosto inverosimili e allarmanti dal nostro uomo all’interno della Zookd, l’azienda informatica…”
“Abbiamo un uomo all’interno della Zookd!?” Chiese, sorpreso, il Presidente.
Wallace, si fermò un secondo e poi riprese,
“Il Signor Presidente certamente ricorda che, due anni fa, il consiglio per la sicurezza nazionale ha approvato, in riunione segreta, che il NCSD dovesse carpire con anticipo qualsiasi sviluppo tecnologico che le imprese potessero lanciare sul mercato, per poter prendere, nel caso, le necessarie contromisure…”
“Ah sì! Certo…”
“Come dicevo, il nostro agente, Franklin Phineas, ci informava di esperimenti condotti in prima persona dal CEO della Zookd, Frank Snob, sulla realtà ripetuta…”
“La realtà ripetuta!?”
“Esatto Signor Presidente, e anche a noi questo termine non diceva nulla.” Wallace rispose.
“Abbiamo cercato di ricontattare il nostro agente ma, inspiegabilmente, non ci siamo più riusciti…”
“Cosa gli è successo?”
“Riteniamo sia stato scoperto da persone della Zookd, probabilmente da Snob in persona.”
“É… è stato… eliminato?”
“Purtroppo no, Signor Presidente.”
Il Presidente si alzò in piedi, di scatto.
“Come purtroppo?!?”
Wallace, deglutì e prese un plico sulla scrivania.
“La scorsa settimana ho personalmente ricevuto questa.” E tese il plico al Presidente.
“È una lettera.” Disse Wuzps, guardando ciò che Wallace gli aveva dato.
“La prego di guardare il timbro postale, Signor Presidente.”
“Mille… Ottocento… novantadue!?!”
“Proprio così Signor Presidente, è di Franklin Phineas.”
“Il vostro uomo è scomparso qualche settimana fa e le scrive dal 1892!?”
Di nuovo intervenne il consigliere per la sicurezza nazionale:
“Corretto Signor Presidente, ha utilizzato uno stratagemma che ha visto in un film di qualche anno fa, nella lettera lo dice, e…”
“Ma cosa cazzo me ne frega del film!!! Qualcuno vuole spiegarmi cosa è successo?!?!”
Il consigliere si sedette. Wallace riprese.
“La Zookd ha sperimentato e finalizzato una macchina del tempo, Signor Presidente, e – l’altro ieri – siamo intervenuti in tempo prima che la lanciassero sul mercato.”
“Una macchina del tempo?” il Presidente si appoggiò alla scrivania.
“Instant replay lo hanno chiamato, Signor Presidente. Lo volevano inserire come feature in tutti i loro prossimi modelli di Smartphone, come questo Z-Phone 14 che abbiamo requisito ieri.”
“Ah, il 14, quindi è già uscito?” Disse Wuzps, guardando il cellulare sulla sua scrivania.
“Per fortuna no, Signor Presidente.” Disse, un po’ imbarazzato, Wallace.
Il presidente lo guardò smarrito, Wallace riprese.
“Giocare con il tempo, Signor Presidente, può essere molto pericoloso.
La funzione Instant Replay, nelle intenzioni della Zookd, era una semplice app per permettere di rivivere, nel vero senso del termine, ciò che era appena accaduto; immagini un momento felice in famiglia, un incontro con la star del cuore, il primo bacio…”
“Ma per quello ci sono i selfie!” Disse il Presidente, “Anch’io, con mia moglie Tatiana, spesso…”
“Non è la stessa cosa, Signor Presidente: i selfie fissano un’immagine, che è irripetibile; la Zookd, almeno nelle intenzioni di Snob, avrebbe permesso il rivivere quel momento, quell’istante appunto, tutte le volte che si voleva…”
“E che c’è di…” tentò Wuzps, ma Wallace lo interruppe.
“C’è molto di male, con tutti il rispetto. Le deformazioni dello spazio tempo, anche solo per ripetere il grido di gioia del nipotino che spegne le candeline sulla torta, hanno coimplicazioni pesantissime sulla natura che ci circonda, sugli esseri umani.”
“Non vedo come un bamb…” Wallace non lasciò finire la frase.
“Quell’istante che ripetiamo è già trascorso nella vita reale, e il ripeterlo sfalsa lo spazio tempo di tutti i presenti, e non solo. Se l’utente lo setta su “effetto magnum”, come nel telefono qui davanti, lo sfalsamento si estende a tutto il visibile dell’utente, si immagina cosa potrebbe succedere se due innamorati volessero ripetere un bel tramonto?”
“Beh, se lo vedrebbero un’altra volt…”
“No, Signor Presidente, tutto il mondo lo vedrebbe un’altra volta! Immagini le conseguenze disastrose se fossero anche solo due le coppie di innamorati; ma una a New York e l’altra a… a Oslo!”
“Oslo?”
“La capitale della Norvegia, in Europa” disse il consigliere per la sicurezza.
“Grazie.” Disse il Presidente.
“E in più” riprese Wallace, “Snob ha fatto inserire anche un’altra funzione, pensando che fosse “divertente”: il continuous replay.”
“Vede?” Wallace premette lo schermo del telefono sulla scrivania, “Basta impostare la funzione da menù e la scena che si è appena svolta, nell’arco di fino a 30 minuti precedenti, viene ripetuta all’infinito… un disastro totale!”
“Dov’è Snob? Portatemelo qui subito!”
“Non è così facile, Signor Presidente; Snob, dopo aver spedito personalmente Franklin Phineas nel 1892, ha capito che aveva le ore contate e…”
“È scappato!?”
“Peggio, ha usato una macchina del tempo…”
“E dove è andato?”
“Non lo sappiamo con precisione, ossia, abbiamo dei segni del suo passaggio…”
“Segni!?”
“Guardi la statuetta, Signor Presidente, prego.” Disse Wallace puntando sulla statua del cowboy a cavallo, opera di Remington, poggiata sul mobile nello studio ovale.
Wuzps si piegò verso l’oggetto; socchiuse gli occhi e si fissò sul volto del cowboy.
“Ma è Snob!” Gridò.
“Esatto, e abbiamo altre segnalazioni, da musei in tutto il mondo: dal Prado di Madrid, in Spagna sino al Louvre di Parigi.” Disse Wallace, e poi aggiunse “in Francia…”
“So dov’è Parigi, grazie. “rispose il Presidente, “Ma cosa sta facendo Snob?”
“Riteniamo che Snob stia vivendo un momento di narcisismo estremo, che lo porta a viaggiare nel tempo per, diciamo così, intervenire di persona in momenti che tramandino la sua presenza.”
“Cioè?”
“Beh, Signor Presidente, il consolato a Milano ci ha comunicato che il suo volto è apparso tra i commensali dell’ultima cena di Leonardo, al posto di Simon Pietro… gli italiani non l’hanno presa bene, il console ci scriveva dal bunker sotto l’edificio, cui aveva dato fuoco una massa di arrabbiatissimi milanesi.”
“Ma non possiamo fermarlo?”
“Purtroppo no, e anche se sapessimo dove è ora, intendo in che epoca, non solo il luogo, legalmente non potremmo fare nulla…”
“Ma, ma ha mandato il suo agente…”
“Franklin Phineas? Purtroppo non esistono parametri giuridici per incolpare Snob di nulla, neanche lesioni personali, la legislazione sulla deformazione temporale è… carente.”
“Insomma” sbottò il Presidente Wuzps, “mi state dicendo che stava per avvenire un casino di questo genere, ed in parte sta avvenendo, solo perché un pazzo voleva abbindolare nuovi clienti con l’ennesima cazzo di app su ‘sto maledetto telefonino!?!?”
Wallace fece appena in tempo a gridare “NO!”, ma Wuzps aveva già schiacciato il grande tasto rosso sullo schermo dello smartphone che aveva afferrato con rabbia.
Il presidente degli Stati Uniti, con sguardo corrucciato, si sedette sul divanetto della stanza ovale e si rivolse all’uomo in piedi accanto alla scrivania.
“Mi scusi ma… potrebbe ripetere, Dottor... Dottor?”



Il colloquio.


“Signora lo faccia pure passare, ho finito la telefonata.”
La porta dell’ufficio si apre, accompagnata da una folata fredda, alla quale il Dottor Manelli rabbrividisce.
“Posso?”
“Prego, prego. Si accomodi. Devo ricordarmi di dire al tecnico di settare l’aria condizionata di là… fa un freddo.”
L’uomo sorride al commento e si siede.
“Dunque signor, signor…”
“Mavro. Andrea Mavro.”
“Ah sì, mi scusi, ho troppe carte qui ma c’è anche il suo curriculum… eccolo qui!
Dunque, signor Mavro, devo dirle che ci tenevo ad incontrarla; il suo CV mi ha molto incuriosito, ne ho parlato anche con l’Amministratore Delegato…”
“Incuriosito?”
“Eh sì, lei ha fatto delle esperienze notevoli, Multinazionali, Corporations, Istituzioni e organismi internazionali… ne ha avute parecchie, ma lei quando ha iniziato a lavorare?!”
“Beh, Dottore, si può dire che io lavori dalla notte dei tempi…”
“Eh sì, appunto! Con tutte queste esperienze mi aspettavo minimo… minimo un ottuagenario!”
“Sono lavori che mi hanno tenuto sempre molto attivo…”
“Ecco, questo è un po’ il punto, perché il CV è molto interessante però non si capisce, non è chiaro, che ruoli aveva in tutte queste aziende…”
“Oh, sempre lo stesso Dottore…”
“Si ma cos’era: comunicazione? Relazioni istituzionali? Qual era il suo campo?”
“La paura.”
“Come scusi?!?”
“La paura Dottore; io, da molto tempo, mi occupo esclusivamente di paura.”
“Temo, temo di non capire…”
“Dottore, non pensi che voglia mancare di rispetto al direttore delle risorse umane dell’azienda cui ho sottoposto la mia candidatura ma, mi permetta, è molto semplice!”
“C---cioè?”
“Vede, io, in tutte quelle posizioni che ho inserito nel curriculum, e in molte altre che non segnalato, più che altro per credibilità, ho lavorato per creare e diffondere paura. E non solo nell’ambito della Comunicazione o delle pubbliche relazioni, mi creda.”
“Ah no?!?”
“No, sono stato impiegato in moltissimi ambiti, dai laboratori al training, dalla progettazione alla ricerca, sempre con un unico obiettivo: fare paura.”
“Ma.. ma perché?!”
“Dottore! Non mi faccia dire cose che lei già sa! La paura controlla, la paura dirige!”
“P---prego??”
“Dottore, lei si occupa di risorse umane, sono sicuro che condivida il fatto che il suo ruolo è gestire le risorse, le persone, perché si uniscano per ottenere un risultato.”
“Beh, certo, il fine aziendale… gli obiettivi di budget…”
“Certo, certo, e quindi avrete anche qui il piano incentivi, i premi e via dicendo.
Funziona?”
“Ma, in linea di massima…”
“In linea di massima Dottore, non pienamente.”
“Beh, ma, pienamente è praticamente impossibile…”
“Con questi metodi si, mi permetta, con i miei invece è molto più… semplice.”
“Con… con la paura?”
“Ha mai visto una folla inferocita bruciare una biblioteca? Oppure linciare qualcuno perché del colore di pelle considerato sbagliato?”
“Ma questo, questi esempi sono di follia, da gente aizzata per ignoranza, per razzismo.”
“Che sono i nomi che si danno alla paura, perché spesso anche solo il nome fa paura, mi scusi il gioco di parole.”
“Ma lei, lei ha fatto queste cose?!”
“Oh no, dottore, io ho sempre operato all’interno di organizzazioni che avevano altri scopi, che si sono avvalse del mio lavoro per raggiungerli. Io mi limito al campo del come, il perché e il quando lo decide sempre qualcun altro. “
“Beh, però, visto quanto mi dice, io non credo, non penso che noi potremmo…”
“Avere bisogno di me? Più di quanto lei creda Dottore, più di quanto lei pensi.
Vede, nel tempo, ho ampliato il mio campo di intervento. Come lei ha notato nelle poche esperienze che ho riportato nel curriculum sono passato dall’ambito istituzionale, governativo, a quello transnazionale, a quello istituzionale via via fino al commerciale.”
“Cioè?”
“Cioè che paga lo stesso infondere il timore di un’invasione, la paura di altre credenze o religioni, il terrore della vittoria del partito politico avverso o il far credere di essere da meno se non si possiede quel prodotto, se non si veste quel capo o sfoggia quel marchio. É solo un po’ più facile e veloce.
Alla base ci sono sempre io, la paura dello straniero è la stessa paura di non apparire come tutti gli altri, di non essere all’altezza. Sorda, dolorosa e spaventosa; faccio sempre lo stesso effetto. “
“Ma! Ma questo è immorale!!”
“Ma Dottore! Morale? Etica? Ma non crede che siano due parole che si prestano benissimo a vestire i contenuti che io creo? Cosa è immorale è un modo più socialmente accettabile di esprimere le proprie paure senza confessarle! Cinquecento anni fa la paura della donna intelligente ha dato morale ed etica ai roghi delle streghe, oggi le valorizziamo e ne esaltiamo i risultati in tutti gli ambiti, ci limitiamo a pagarle di meno dei loro pari grado maschi, si è mai posto questo problema? Le sembra etico? Le sembra morale?”
“Ma cosa dice! Adesso non mi vorrà raccontare che lei ha fomentato la caccia alle streghe cinquecento anni fa!?!”
“Come le ho detto dottore io opero dalla notte dei tempi, e ho sempre trovato qualcuno che aveva bisogno di me, sin da quando un essere che a malapena si reggeva in piedi ha capito che per liberarsi di quello che gli avevo infuso poteva usare un osso, o una pietra. Sono stato rappresentato anche in film famoso, sa?”
“Basta! Lei è un pazzo, un mitomane! Questo incontro termina qua! Lei, lei è un essere abbietto, lei mi fa… mi fa… “
“Paura, Dottore? È normale, ci sono abituato. Ma, veda, se ho chiesto di parlarle è proprio perché io sono sempre stato al servizio di persone come lei.”
“Come me!? Cosa vuol dire?”
“Persone che hanno del potere, e lei ne ha in questa azienda, ma che cercano un mezzo, un modo, per accrescerlo.”
“Ma io non ho queste voglie! Non sono mica un pazzo!”
“Certo Dottore, ma, forse, anche lei starebbe meglio se, assumendomi, i risultati commerciali della vostra Azienda migliorassero, se la forza lavoro fosse più - come dite voi? - coesa e votata al fine aziendale, la paura del licenziamento è un gioco da ragazzi per me.
Lei sarebbe ancora più apprezzato e ricompensato, non crede? Avrebbe anche molte meno seccature; si immagini quanti impiegati, quadri o dirigenti verrebbero a seccarla con le loro richieste se avessero paura di lei o delle conseguenze che lei potrebbe esercitare sulle loro carriere, sul futuro loro e delle loro famiglie?!”
“No, noi siamo un’Azienda sana e – tutto sommato – felice. Abbiamo anche vinto dei premi per il clima aziendale, sa?”
“E che ci fa con li premio dottore? Le ha dato più potere? Ha guadagnato di più? Ha soddisfatto i suoi sogni? Si sta avverando quello della casetta al mare che ha visto l’anno scorso, in vacanza in riviera?”
“Ma lei come fa a sape…”
“Dottore, per alimentare le paure dell’uomo bisogna conoscere i suoi più intimi desideri, spesso semplici e, di per sé, innocui. Sono gli ostacoli nel raggiungerli che diciamo, fanno il mio mercato. E io di questi mi nutro, senza questi non avrei clienti…”
Il Dottor Manelli non risponde, rigira tra le mani i due fogli del curriculum, fissandoli senza leggerli. Pensa al villino che hanno visto, al mare, l’estate prima, con Adriana. Un sogno, era piaciuto anche ai ragazzi; con la piscina poi!
“Bene Dottore, vedo che sta considerando il mio Curriculum, ne sono molto contento e, mi creda, non è mia intenzione portarle via altro tempo. I miei contatti ce li ha, quindi, se permette, la ringrazio per il tempo che ha voluto dedicarmi e la saluto.”
Andrea Mavro si alza dalla poltrona di fronte alla scrivania, sorridendo, si volta e – raggiunta la porta – ne afferra la maniglia.
“Noi,” dice Manelli,”noi… ci risentiremo…”
Mavro si volta, sorride.
“Ne sono certo.”
 Manelli aspetta che richiuda la porta poi si alza e va alla finestra, aprendola.
Fuori c’è un bel sole primaverile, ma il suo ufficio continua a rimanere gelido.




Clic.


Sigla di apertura in dissolvenza.
Telecamera in primo piano sul volto di Gino Testa, il conduttore.
“Gentili telespettatori buonasera; benvenuti alla puntata 845 di Bocca a Bocca, una puntata veramente eccezionale – come sempre, del resto – perché abbiamo un ospite importantissimo: il navigatore interstellare che, non più tardi di quattro giorni fa, è atterrato qui a Roma con la sua astronave.”
La telecamera inquadra un bell’uomo dai capelli brizzolati, che, seduto sulla poltroncina, ringrazia con un cenno del capo e un timido sorrisetto. Applauso.
“A condividere con me quest’onore, e ancora una volta la nostra rete è la prima, nell’intervistare pubblicamente il nostro visitatore, altri ospiti d’eccezione: lo psicologo comportamentale Giorgio Cochiei, professore all’università di Roma, il generale Onofrio Iorillo, consigliere per la sicurezza della Presidenza della Repubblica, l’opinionista Luciana Selvaggelli e infine, ma non certo in ordine di importanza, il Ministro dell’Interno, Onorevole Anteo Gaslini. Buonasera, buonasera ai nostri ospiti.”
La telecamera riprende i quattro, seduti in poltroncine di fronte all’alieno. Applausi.
“Ecco, comincio subito con un mio imbarazzo: signor visitatore, come devo chiamarla?” Sorrisetto nervoso.
L’alieno risponde, con una voce calma e profonda.
“Da dove vengo io i nomi non hanno più molta importanza, noi comunichiamo in maniera telepatica e introspettiva, quindi non usiamo nomi.”
“Mi scusi” intervenne lo psicologo, “intende dire che non usate i nomi perché avete raggiunto una livello, diciamo, quasi simbiotico?”
L’alieno sorride.
“Non vorrei sembrare troppo pedante, o puntualizzare troppo, ma mi rendo conto che non sapete nulla su di noi e quindi devo fare delle precisazioni: noi non intendiamo dire, noi diciamo e basta e, per rispondere alla sua domanda in modo esaustivo, non usiamo i nomi perché la nostra comunicazione è intracorporea: noi entriamo nella mente dell’altro. Per fare un esempio comprensibile agli umani noi sentiamo la voce della persona con cui parliamo. Spero di essere stato chiaro.”
Interviene Testa. Abbozzando un sorrisetto:
“Ma quindi io, da comune mortale, come devo chiamarla? Perché sa, qui da noi, sulla terra, sentire delle voci non è proprio un segno di intelligenza superiore.”
Risate del pubblico e degli ospiti.
L’alieno sorride educatamente.
“La sua esigenza è dettata dalla forma di comunicazione e dal costrutto sociale del suo paese, ne siamo coscienti e non siamo contrari a questo: può chiamarmi Comandante.”
Primo piano del generale, che si irrigidisce sulla poltrona.
“Lei è un militare?”
“Signor Generale, la nostra società ha tempo superato la necessità di militari, eserciti e armi, abbiamo mantenuto solo una classificazione gerarchica basata sui gradi di riporto che ognuno di noi ha all’interno della struttura sociale che…”
Interrompe il ministro dell’interno:
“Quanta gente comanda lei? Dove sono? State preparando altri sbarchi?!”
L’alieno appare seccato dall’interruzione, poi sorride e risponde:
“In qualità di comandante della missione di intervento su Terra io ho 200.000 riporti, tra diretti e indiretti; e nessuno sbarcherà dopo di me perché sono già tutti qui, sul vostro pianeta.”
Brusio nel pubblico, il generale si volta verso il ministro dell’Interno e lo guarda, stupito.
L’alieno riprende, sempre con tono moderato.
“Alla fine del periodo a cui voi vi riferite come seconda guerra mondiale, richiamati dalla perturbazioni cosmiche causate da due esplosioni nucleari, la conduzione interstellare che io rappresento ha deciso che era meglio osservare l’evoluzione su Terra, perché era sembrato stesse deviando dal percorso prestabilito…”
L’opinionista scuote i capelli biondi, si protende verso l’alieno stringendo le palpebre e chiede:
“Scusi eh, ma stabilito da chi!?” Mormorii di approvazione nel pubblico.
“Dalla natura evolutiva del sistema interstellare, che regola lo sviluppo degli abitanti di ogni pianeta in modo da permettere a tutti il percorso naturale verso la trasformazione superiore.”
L’opinionista torna ad appoggiarsi allo schienale della poltroncina, accavallando le lunghe gambe, su cui la telecamera indugia.
Testa riprende la parola.
“Quindi, Comandante, la Terra è inconsapevolmente parte di una… una specie di federazione tra pianeti…”
“Tra sistemi stellari, o solari” Interruppe l’alieno
“Tra sistemi solari, grazie, che ci osservano, ci controllano?”
“Proprio così, è la natura stessa del sistema, che regola l’evoluzione dei singoli pianeti.”
Il Ministro dell’interno si raddrizza sulla poltrona.
“Ma con che regole? Chi le decide? Perché noi non siamo stati interpellati e coinvolti!? Siamo un pianeta importante, con una storia, con una evoluzione, come dice lei, di tutto rispetto!”
L’alieno ispira profondamente, quasi sconsolato.
“Signor Ministro, mi permetta di delucidarla in merito: Terra, nel sistema interstellare, è un pianeta di quarta fascia; voglio dire che ci sono pianeti che, per dimensioni e popolazione vivente, sono venti, trenta volte più grandi; i pianeti di prima fascia, sono solo sei nel sistema, hanno popolazioni che variano dai 200 ai 400 miliardi di individui, con stati di sviluppo decisamente più avanzati. La dimostrazione che Terra è un pianeta giovane, tecnologicamente arretrato e, ed è questo il punto più importante, evolutivamente fermo, se non in regressione.”
Il generale sbotta.
“Ma lei lo sa che noi siamo stati sulla luna? Che abbiamo sonde in perlustrazione nello spazio profondo!? Che presto avremo missili con capacità interplanetaria? Questa la chiama tecnologia arretrata!?”
L’alieno sorride.
“Generale, io vengo da un sistema stellare a 25 anni luce da Terra. Per arrivare ci ho messo tre delle vostre ore, perché – da tempo – non usiamo più mezzi di locomozione, tantomeno con combustibili di origine fossile!”
Il silenzio cala nello studio. Testa consulta nervosamente i suoi appunti, poi sorride e si si rivolge all’alieno
“Mi scusi ma questo non mi torna, lei è atterrato con un astronave qui a Roma, o sbaglio?”
Timidi applausi tra il pubblico, il ministro dell’interno sorride, soddisfatto.
“No, lei ha ragione, dottore. Quando ci palesiamo a forme di vita più arretrate usiamo gli elementi iconografici che ci permettono di stabilire un contatto. Su Terra, da tempo, immaginate che le altre entità viventi giungeranno sul pianeta con gli stessi veicoli che abbiamo usato decine di migliaia di anni fa, quando abbiamo iniziato il processo evolutivo del pianeta. Io, oggi, appaio a voi in una forma simile alla vostra, per una questione di comunicazione, e l’astronave a cui lei fa riferimento è stata approntata da alcuni dei miei riporti in un capannone affittato sulla Salaria proprio per questo scopo.”
Il Ministro dell’interno si alza in piedi.
“Un capannone sulla Salaria! Ma per chi ci piglia questo qui!? Io sono il ministro dell’interno e voglio, anzi esigo, di confrontarmi con i suoi superiori immediatamente! Noi rappresentiamo una civiltà millenaria, con valori morali, etici e religiosi, non accetto di farmi dare lezioni dal primo alieno che passa, sulla base di una supposta predominanza sul genero umano poi!!”
Applausi in studio anche dagli altri ospiti.
L’alieno abbassa il capo e sbuffa, poi lo rialza.
“Io credo che sarebbe più giusto dire primogenitura, signor Ministro dell’Interno. Noi siamo stati come voi, prima di voi. Quando siamo giunti su questo pianeta eravamo già a uno stadio evolutivo superiore al vostro attuale; abbiamo, per legge naturale, istillato il germe evolutivo anche su Terra, selezionando i primati rispetto ad altre forme di vita, perché ci era sembrato di riconoscere i tratti necessari al percorso evolutivo fatto anche in altri pianeti” si interruppe “certo, non potevamo immaginare che…”
“Cosa!?” chiede Testa
“Che il percorso evolutivo si sarebbe interrotto, che sarebbe regredito…”
“Ah!” ridacchia il ministro “adesso siamo dei regrediti!” ma lo studio tace.
“Eh sì, signor Ministro. Avevamo previsto il conflitto mondiale, ma non due, a poca distanza tra l’altro, e certo non l’atroce sviluppo tecnologico cui ha dato vita il secondo. Invece di comprendere, come in altre civiltà, che la guerra totale era momento di arresto evolutivo i terrestri ne hanno fatto un meccanismo in perenne movimento, hanno eletto il conflitto a loro motore, in tutti i campi.”
“Ma, scusi” la telecamera inquadra Testa “dalla fine della seconda guerra mondiale il mondo ha conosciuto il più lungo periodo di pace che…”
“Quale mondo!” L’alieno alza la voce, gelando ospiti e pubblico.
“La vostra tanto celebrata seconda guerra mondiale non è mai finita! Dal vostro 1945 ogni anno solare, ognuno, ha conosciuto conflitti grandi e piccoli in tutto il pianeta, fate finta di non saperlo!?”
“Avete istituito il conflitto come vostro unico stimolo allo sviluppo, e se non c’è un nemico ve lo inventate! Assistete al dissolversi di intere popolazioni, di intere società, arrovellandovi su chi ha torto e chi ha ragione, e intervenite solo in nome di qualche interesse economico che vi siete inventati, se proprio dovete.”
“Negli ultimi quarant’anni avete istaurato un meccanismo di impoverimento culturale legato al controllo della popolazione, state creando una civiltà basata sull’idiozia e sulla paura, con individui che vaneggiano di scie chimiche nei cieli e non si preoccupano del fatto che la sovrappopolazione bovina, sviluppata per motivi economici e con metodi incontrollati, sta distruggendo l’ecosistema del pianeta!”
“Ma a voi cosa ve ne frega!?!?” l’urlo del ministro interrompe lo scatto d’ira dell’alieno.
“Come dice, scusi?”
“Ha capito benissimo! A voi cosa ve ne frega di come si evolve il nostro pianeta!? Chi siete? I maestrini che ci vengono a dare le bacchettate!? Se, come dice lei, rispettate la legge di natura allora sappiate che la nostra legge di natura si basa sull’autodeterminazione, sulla lungimiranza di chi governa e sul diritto di governare basato sul voto di tutti! Questa è la democrazia, lo sapete cos’è la democrazia!? Qui da noi ognuno ha il diritto di votare e di esprimere la sua scelta, qui non ci facciamo scegliere chi comanda da alieni, immigrati o altri! Qui siamo a casa nostra e facciamo quello che vogliamo noi!”
Applausi.
L’alieno scuote la testa.
“Cosa c’è? Non le piace il mio tono?” ride, soddisfatto, il ministro.
“Io non sono qui per giudicare, Signor Ministro. Né il suo tono, né le sue parole. Io sono stato mandato a correggere e, mi creda, è un caso veramente eccezionale.”
“Perché?” Chiede lo psicologo.
“La conduzione interstellare non interviene mai nello sviluppo evolutivo che avviene nei vari sistemi, se lo fa è solo per impedire ripercussioni verso altri sistemi.”
“Ma se ci è venuto a rinfacciare che siamo arrivati a malapena sulla luna! Di che ripercussioni sta parlando?” ironizza il ministro.
”Quelle che, per voi, sono state due esplosioni di ordigni nucleari nel vostro 1945 hanno avuto ripercussioni che i vostri scienziati non potevano neanche immaginare…”
“Ah! È lì che siamo diventati tutti scemi?” ridacchia il ministro.
“No, le onde termiche elettro-magnetiche che avete rilasciato nel cosmo, quello che voi cercate di spiegare con la vostra teoria dei quanti, hanno distrutto, nel corso degli ultimi anni, sette pianeti che voi ancora non avete nemmeno individuato.”
Silenzio in sala.
“Sette pianeti che erano a stati evolutivi diversi: alcuni primordiali, altri più avanzati del vostro.”
“Ora, Terra ha conosciuto un proliferare di questi ordigni, anche molto più potenti dei due usati quell’anno, e questo, insieme alla regressione evolutiva di cui ho parlato, ha indotto la conduzione interstellare ad intervenire.”
“E quindi” chiede Testa, “Cosa farete? Smantellerete gli arsenali nucleari?”
“Noi no, quello lo farete voi.”
“E come ci convincerete?” chiede il generale “Con l’uso della forza?”
“No, signor Generale, glie l’ho già detto: sono millenni che abbiamo abolito l’uso della forza. Lo farete voi stessi perché verrà meno quella parte della popolazione terrestre che, indebolita da voi stessi nelle facoltà cerebrali, rappresenta una regressione evolutiva.”
“Verrà meno in che senso?” Chiede il Ministro “Allestirete dei campi di concentramento? Li deporterete su qualche altro pianeta?”
L’alieno scuote la testa.
“Purtroppo questa soluzione non è possibile, gli unici pianeti che hanno accettato non hanno condizioni ecocompatibili con la vita terrestre.”
Testa, visibilmente atterrito, fa la domanda.
“E quindi, come farete?”
L’alieno estrae un oggetto dalla tasca della giacca, il generale scatta in piedi, ma l’alieno gli fa segno, con la mano, che non deve preoccuparsi.
“Questo è un convertitore materiale, tutti i miei riporti ne hanno uno. Permette la riconversione in materiali organici primari di ogni forma umana vivente che rappresenta una regressione evolutiva.”
“In sostanza” dice Testa con un certo tremore nella voce “Lei sta dicendo che, con quell’arnese, degli esseri umani che avete stabilito essere dei regrediti spariranno dal pianeta?!”
L’alieno annuisce.
“Proprio così, in maniera istantanea e, mi creda, indolore. Vede, è semplicissimo: basta spostare questa levetta…”
Clic.
“Mi perdoni” lo ferma Testa, “ma credo che, prima che lei tocchi quella levetta sarebbe opportuno calcolare le dimensioni del danno che ne potrebbe derivare in tutto il Paese, in tutto il pianeta…”
“Non si preoccupi”, risponde sorridendo l’alieno “Abbiamo calcolato tutto.”
“Eh no” risponde seccato Testa “chiedo scusa ma, con tutta la sua evolutissima intelligenza, prima di attivare questa “cosa” lei dovrebbe avere almeno l’umiltà di chiarire le possibili ripercussioni sulla sicurezza del Paese con il Ministro dell’Interno, non è vero Signor Ministro? Signor Ministro! Onorevole Gaslini! Ma… dov’è andato!?”

Il freddo


Il freddo era insopportabile.
Fuori dal bosco, nella radura, il vento soffiava gelido, rendendo gli alberi al limitare ghiaccioli immobili.
Il grido del sergente, coperto dalla maschera termica, giunse affievolito e incomprensibile al comandante Wallace, che si limitò a guardare nella direzione indicata dal suo uomo.
Capanne.
Sette, forse otto capanne, in un avvallamento dell’immensa radura, coperte dal bianco del ghiaccio sui lati verso cui soffiava il vento.
Non si vedeva fumo, forse erano già tutti morti.
L’opera di bonifica del settore era già quasi terminata quando un sopravvissuto, uno dei pochi ancora in grado di rispondere, aveva parlato di un altro insediamento, ancora più a nord.
Le probabilità di vita erano apparse subito minime, nel pieno dell’inverno poi, ma gli ordini erano ordini.
Il Comandante Wallace aveva comunicato la cosa e, chiaramente, l’ordine di verifica era arrivato.
Seguendo sommarie indicazioni - nessuna possibilità di usare i sensori di calore in quel clima - erano arrivati alla radura dopo due giorni di cammino.
Wallace indicò ai suoi uomini come procedere, circondando le capanne con cautela; non sarebbe stata la prima volta che una missione di bonifica veniva sorpresa dal fuoco degli infetti.
Qui non sembrava ci fosse la possibilità che qualcuno li avesse avvertiti; l’insediamento più vicino era stato trovato solo due giorni prima e nessun infetto, supponendo ce ne fossero altri vivi oltre ai due che avevano trovato, sarebbe stato in grado di coprire la distanza nei tempi del plotone di Wallace, sano e ben nutrito.
Wallace era un veterano, della prima ora, e sapeva come si muovevano: un misto di rabbia e paura, con una propensione al sacrificio, all’immolarsi per la “causa”.
Era stato così sin dall’inizio, da quando i sani, lentamente, avevano cominciato a riprendere il controllo della situazione.
Dieci anni prima il mondo gli era crollato addosso: sobillate da ignoranza e paura le popolazioni di quasi tutti gli stati avevano votato in massa per l’abolizione dei controlli e della profilassi. Politicanti troppo astuti o troppo ignoranti avevano fatta loro la guerra contro la “cosiddetta scienza”, come la chiamavano.
Il tasso di mortalità infantile era immediatamente schizzato verso l’alto, ma la scusa – i veleni che i genitori avevano involontariamente dovuto subire per anni – era stata una spiegazione accettata da tutti.
Neanche le prime epidemie, spesso mortali, avevano incrinato la cieca convinzione di essere nel giusto, anzi; di fronte all’evidenza i soliti politici avevano rapidamente cercato un nemico comune: l’untore.
Un ricordo doloroso per Wallace; famiglie massacrate perché colpevoli di essere sane.
Non aveva potuto far niente, la polizia non era intervenuta, assistendo compiacente alla scena, e comunque rivolgersi alla giustizia sarebbe stato un suicidio.
Nella notte aveva vagato tra i resti della sua casa, riuscendo a soffocare le grida di disperazione e quelle di gioia quando aveva trovato Robert, il suo unico figlio superstite, ancora vivo, tra le macerie.
Robert era grande ora, e aveva sopportato bene il crescere solo con il padre, tra i bambini della zona protetta, più a sud.
La lebbra aveva scatenato la fuga. Quando a New York quasi quattro milioni di abitanti morirono in pochi mesi la paura dilagò ovunque; i linciaggi degli untori, quasi tutti afro-americani, più resistenti al morbo, e le “cure naturali” non riuscirono a fermare il male o placare la paura; e scapparono.
Piccole comunità, animate da conoscenze sbagliate e “metodi” primordiali si sparsero per il paese, più che altro a nord, convinte che il freddo avrebbe congelato le malattie.
I sani assistettero con sgomento a questo suicidio di massa.
Quando, anni dopo, si riuscì a ritornare al controllo, la bonifica dei “villaggi della salute” dava quasi sempre lo stesso esito: tutti morti, a volte per cause curabili in pochi giorni di trattamento.
I pochi sopravvissuti, se ancora in grado di intendere, accettavano con gratitudine le cure; non era più il caso di “vivere liberi”.
Gli uomini avevano circondato il gruppo di capanne, senza che ci fosse stato un segno di vita.
Wallace diede il segnale con la mano, i soldati indossarono le maschere protettive ed entrarono.
Il poster era lì, all’ingresso della prima capanna; Wallace l’aveva visto altre volte, non mancava mai: la ministra della sanità in posa davanti all’incendio dei laboratori universitari, con una torcia in mano e la scritta “Finalmente liberi!” sullo sfondo.
Ricercatori e docenti si erano salvati in tempo, non così i pompieri accorsi per impedire che le fiamme dilagassero; una deflagrazione enorme, usata dalla ministra e dal suo entourage come dimostrazione dei segreti pericolosi che si nascondevano dentro quelle mura.
La capanna sulla destra era quella dei bambini, tenuti tutti insieme per “scambiarsi gli anticorpi”, Wallace contò dodici cadaveri, tra i due e i tredici anni.
Vittime delle loro madri.
Gli adulti erano sparsi tra le altre capanne, alcuni all’interno, un paio fuori. Uno era accasciato su un fascio di legnetti e frasche di pino, ormai gelate, morto sicuramente da più di due settimane.
Le donne, mancavano le donne.
Uno sparo.
Wallace e gli altri, a armi spianate, corsero verso il caporale, che reggeva il mitra con mani tremanti.
“Mi scusi signore; ho avuto paura e ho sparato, in aria però!”
E indicò la capanna, l’ultima, più a nord.
Le donne erano tutte lì, venti corpi coperti da cicatrici. Per quello il caporale aveva sparato.
Wallace, maledicendosi per non averci pensato prima, rifece il suo percorso correndo, voltò il cadavere dell’uomo con la legna, illuminò con la torcia quelli degli altri uomini e dei bambini nelle capanne. Tutti uguali.
Vaiolo.
Wallace, a gesti, dispose gli uomini nuovamente fuori dal perimetro del minuscolo villaggio e ordinò al caporale di stabilire un contatto con la base.
Un gemito.
Tutti i soldati si voltarono verso la capanna delle donne.
Wallace rifletté rapidamente; strappò due pali di sostegno dalla capanna alla sua destra e ne passò uno al sergente, facendogli cenno di seguirlo.
Sentì il caporale parlare “Qui squadra 12, raggiunta posizione: focolaio di vaiolo con sospetto sopravvissuto. Richiediamo invio squadra di trattamento e profilassi, ripeto: sospetto infetto vivente. Massima urgenza.”
Con le torce accese entrarono nella capanna delle donne, i pali in avanti, per smuovere i cadaveri.
La ragazza era sul fondo della capanna, vicino ad un braciere ormai spento, nascosta da coperte e vestiti strappati ai cadaveri più vicini.
La luce delle torce inquadrò il volto sofferente e deturpato di quella che una volta doveva essere stata una gran bella ragazza.
Da sotto la massa di indumenti e stracci emerse una mano, tesa verso i due uomini.
Anche la mano era purulenta.
Il comandante Gordon Wallace, capitano dei corpi di ricognizione e bonifica, vide passarsi davanti agli occhi i secoli di malattia e morte, di scienza e studio, di sforzi fatti dall’umanità per affrancarsi dal virus in nome del progresso e della compassionevole carità con cui l’uomo protegge i suoi simili.
E sparò.
Freddo.