Il lumacoide era rientrato nel bar, gli occhi sbarrati alla ricerca di
qualcosa, e si era fermato a distanza dal bancone.
Dopo qualche minuto, passati a roteare i bulbi oculari a destra e
sinistra, diede fiato alla sua vocetta flebile e stridula.
“Scusate… ehm… scusate. Di chi è la Trifusion verde qui fuori?”
Nessuno, nel rimbombante rumore di fondo del bar, parve accorgersi di
lui.
Ripeté la frase due volte, alzando un po’ il tono ogni volta, ma senza
nessun effetto sulla multiforme folla del locale.
Finalmente il barista, un umano mutante a quattro braccia, si staccò
dai gorgoglii della macchina del Kadvare, una Pavoni tutta cromata, e fece
risuonare la sua, di voce.
“Allora! Chi è che c’ha una Trifusion verde qui fuori, che qui c’è uno che
lo vuole sapere?!”
Il bar si ammutolì e, dal lato più lontano del bancone, quasi in fondo
al bar, un Aardvardiano tutto placche si staccò dal gruppetto di suoi simili.
“È mia la Trifusion.” Disse con una punta di astio, “Cosa c’è?”
Il lumacoide si girò verso di lui, roteando sopra la pozza di bava che
gli permetteva di muoversi.
“Ah! È che… no, niente, cioè, è che non posso uscire perché mi ha
bloccato la mia…”
L’Aardvardiano non lo fece finire.
“E tu mi vieni a rompere le codde perché non sai fare manovra?! Ci
passa un tram neambuliano, ci passa!”
E si voltò verso i suoi amici, che già stavano sghignazzando.
Il barista scosse la testa, sbuffò e torno alla sua Pavoni, mentre il
Lumacoide, visibilmente in soggezione, iniziò a sbavare.
“È che… che non vorrei... sa, può capitare, cioè, non vorrei che,
facendo manovra…”
L’Aardvardiano gli si fece sotto.
“Senti, molluschino, se non sei capace di manovrare quella roba con cui
vai in giro allora lo sai cosa devi fare!?!”
“N-n-nn-no…”
“Aspetta che io finisca.” Rispose il piccoletto, tra le risate dei suoi
amici e di qualche altro avventore.
Il Lumacoide si rattrappì su sé stesso, guardando con occhi tristi
l’altro tornare verso i suoi, accompagnato dai loro fischi di approvazione e da
qualche applauso.
Fu in quel momento che, dalla saletta laterale nascosta nel buio, uscì
l’Ovatrax.
Enorme, ricoperto di peli e squame, si piantò di fronte
all’Aardvardiano, che dovette alzare non di poco la scatola cranica per
inquadrare il muso dell’altro, contornato da zanne e sormontato da due piccoli
occhietti rossi.
“Il signore le ha chiesto di spostare l’astronave.” Disse l’Ovatrax con
la sua caratteristica voce gutturale.
Il bar si era fermato, tutti guardavano la scena.
L’Aardvardiano, sicuramente un esemplare giovane, vide dietro il mostro
di peli e squame gli sguardi dei suoi simili, e non volle perdere la faccia.
“E a te che ganglio te ne fr…” ma non finì la frase.
Con la protuberanza ossea inferiore l’Ovatrax fece volare il piccoletto
dietro di sé, mandandolo a sbattere contro il muro di fondo, dove
l’esoscheletro risuonò come uno xilofono caduto dal terzo piano.
Il mostro non ebbe neanche il tempo di girarsi che gli altri
Aadvardiani, cinque brutti ceffi, gli erano già addosso.
Con le loro unghie retrattili completamente estratte si arrampicarono
sulla schiena del gigante, pronti ad affondare la loro doppia fila di denti tra
collo e capo, il punto debole di ogni Ovatrax.
Questi non si scompose più di tanto: si inclinò all’indietro e si
lasciò cadere, schiacciando sul pavimento tre degli assalitori.
Uno dei due scampati, visto il gigante sdraiato a terra, pensò bene di
estrarre l’arma, un deflettore termico tutto luccicante. Proprio nel momento in
cui stava per incidere l’Ovatrax uno sputo di bava vischiosa gli incollò zampa
e arma al bancone.
“Brucia! Brucia!” si mise a gridare, mentre il barista, sbattendo tutti
e quattro i pugni sul bancone urlava “Le armi no!”
Ma era troppo tardi.
Interpretando lo sputo del Lumacoide come un gesto vile, almeno secondo
le leggi marziali del suo pianeta, un guerriero Terdo di Zyclon aveva già
estratto la sua spada, e stava puntando dritto verso il gasteropode.
Il Lumacoide non si fece sorprendere: emise un’enorme pozzanghera di
bava e, roteando sul posto, colpì il guerriero con un preciso colpo di coda,
spedendolo contro un tavolo di Bellerofontiani nel clangore della sua armatura.
Questi, gente mite e riservata, non avevano seguito la scena. Tutti
inzuppati dei loro cocktails videro un Ovatrax rialzarsi a fatica e
equivocarono.
Si gettarono contro di lui senza neanche darsi un segnale, e mal gliene
incolse.
Il Lumacoide ne fermò due a sputi, lasciandoli ciechi e doloranti a
lamentarsi per terra, l’Ovatrax prese le chele di uno degli altri due e, senza
fatica, le infilò nel canale espellente dell’altro, causando in una sola mossa
dolore, imbarazzo e anche qualche risatina dal fondo del bar.
Ma ormai la lotta era senza quartiere.
Il Barista riuscì a malapena a sparare due colpi di detonatore
magnetico verso l’alto, prima che una Wallega infuriata - aveva scommesso sul
Lumacoide morto - lo tramortisse con un colpo di proboscide sulla nuca.
L’Ovatrax e il Lumacoide, intanto, erano spalla a spalla e
rispondevano, tra sputi, colpi di coda, schiaffoni e incornate, all’assalto
degli avventori che, per un motivo o per l’altro, cercavano di colpirli con
mani, pinne, tentacoli o qualsiasi altra cosa usassero come strumento di
offesa.
Fu il primo Aardvardiano a decretare la fine delle ostilità,
staccandosi dal muro dove l’avevano sbattuto.
Raccolti a fatica i tre schiacciati e ancora molto confusi, aiutò
l’altro amico a liberarsi dalla morsa di bava urticante e poi, cercando il
quinto della compagnia, urlò: “Andiamo via, veloci!”
L’urlo rimbombò per il locale e, insieme ai cinque piccoletti, la metà
dei presenti, quelli che riuscivano ancora a camminare, strisciare o
rimbalzare, li seguì, disperdendosi all’esterno.
Rimasti soli, e in posizione eretta, il Lumacoide e l’Ovatrax si
guardarono attorno, inquadrando un tappeto multirazziale e multidolorante a
terra, finché i loro sguardi non si incrociarono.
Il Lumacoide drizzò le antenne in forma di sorriso.
“Grazie, lei è stato molto gentile.” Disse.
“Si figuri, se non ci si aiuta tra gente per bene.”
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