venerdì 26 giugno 2020

Otoño

Otoño è quando l'umidità dell'autunno non la senti solo sulla pelle, ma anche nel cuore.
Una donna, vestita di scuro, passeggia nel parco all'ora di pranzo.
L'autunno della sua vita è alle porte e lei sente l'otoño.
Le scelte fatte, quelle sbagliate e quelle convinte, sono sedute ai banchi dell’accusa, gli indici puntati.
Le memorie cercano inutilmente di vestirsi di ironia, di proporre una risata amara che vinca sulle lacrime.
Su tutto, il dolore che oggi non ammette rimandi o ragioni, e che trasforma ogni frammento di vita vissuta storpiandolo con cattiveria e risentimento.
E la commiserazione, che straccia ogni possibilità di rivalsa.
Tutto è colpa, tutto è errore.
L’amore della vita, oggi sparito, che si traduce in accuse di stupidità, di faciloneria, come ha fatto a non capirlo subito!? Tutti quegli anni sprecati!
Lui e le sue maledette automobili, esistevano solo quelle! Lei era… un accessorio, come uno specchietto.
Per le allodole, che la invidiavano pure e che, come arpie, si erano strette intorno a lei al grido di “ma eravate una così bella coppia!”. False. Come le promesse di rivedersi, di “non ti devi preoccupare di niente, io ci sono sempre”, almeno fino alla prossima allodola, che non aspettava che uno specchietto.
E poi?
Rifarsi una vita?
Con chi? Quei simulacri d’uomo irrisolti o, peggio, ancora smaniosi di imporsi; perché lei era sempre bella, certo. Una tacca preziosa per qualsiasi pistola.
Che sparava, e poi rientrava nel tepore della fondina, per non riemergerne più.
O quelli che “l’avevano capita”, che si erano dimostrati fratelli, prima che amanti o, addirittura, innamorati.
L’amore del salvatore, del rapporto di dipendenza fatto di ”Eh, se non ci fossi io”.
Giganti dal cuore d’argilla, incapaci di accettare anche un minimo ribaltamento di punti di vista, di comprendere che l’indipendenza non significa essere anaffettiva.
Gli psicologi della domenica sera, quella del weekend passato con le figlie, gli amici, la vela o chissà cos’altro prima di ricordarsi di lei che, “scusami amore ma questo weekend sono proprio incasinato”.
E lei continua a sbagliare, perché è lei sbagliata.

Otoño è quando l'umidità dell'autunno non la senti solo sulla pelle, ma anche nel cuore.
Fragili e non più giovani occhi di donna osservano gli stivali di un ragazzo, in jeans e giubbotto, che siede nel parco all'ora di pranzo. Fissando la terra davanti a quegli stessi stivali.

L'autunno delle sue certezze è giunto e lui sente l'otoño.
Le parole scelte, i gesti forse sbagliati e quel dolore sordo dentro all’organo che neanche sapeva di avere, o che pensava di controllare a piacimento.
Invece no.
Ora che se n’è andata lui sente un peso che mai prima d’ora aveva sofferto.
Ripensa a ogni conversazione, ogni parola, e le rilegge alla luce del fuoco che lo sta distruggendo.
La rabbia.
Vaga, senza una direzione e senza una soluzione. L’affronto, l’offesa del rifiuto.
Brucia, come lo schiaffo che non ha preso. Non fisicamente che, tutto sommato, sarebbe stato meglio.
Se solo avesse capito?
Capire cosa? Quando si è sordi alle proprie parole, sprecate nella convinzione di un’esperienza che non esiste, nella sapienza vuota di conoscere tutto e di saper gestire un altro amore, un’altra volta.
Le stesse parole, sempre le stesse, ma questa volta ascoltate e comprese. Da lei, che se n’è andata.
Per quello che erano veramente, per quello che esprimevano o, meglio, non sapevano esprimere.
E gliele ha lasciate, a tormentare una solitudine improvvisa e incomprensibile.
Che non finisce, perché è lui che è finito.

Osserva senza pensare la figura davanti a lui.

Piccole nuvole di parole si incrociano tra i rami scuri dei castagni.
Frasi leggere che si improvvisano ancore di un discorso iniziato per gioco, con la inconscia speranza che gioco non sia.

Due guanti si sfiorano, e poi due mani si stringono. Il gioco diventa un’illusione, consapevole, cercata e taciuta.

Senza pudore e senza innocenza questo improvviso atto di vita si offre all'indifferenza del parco.

Così si sconfigge l'otoño.
Fino a domani.



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