Gordon
Wallace guardò dalla finestra.
Più che una
finestra un oblò, pensò.
Gli strati di
alluminio trasparente avevano la stessa funzione del vetro, ma l’atmosfera di
Ariane non permetteva di estenderli molto in larghezza.
Così, da uno
degli oblò del suo ufficio ai piani alti della Wallace WorldsMedia, vide
arrivare la navetta che aspettava.
Meno di
cinque minuti dopo il volto della sua assistente personale su Ariane emerse dal
CommPad™ sulla scrivania.
“Signore,
sono arrivati, sono in due” disse la Roveriana.
“Mi dia
cinque minuti” rispose Wallace, sedendosi.
Aprì il
cassetto alla sua destra e tirò fuori un tumbler di cristallo e una bottiglia
di Single Malt 12 anni.
Si versò tre
dita di whisky, complimentandosi per aver scelto una Roveriana come assistente.
Erano gli alieni di aspetto più simile agli umani, eccezione fatta per i
capelli spessi come dreadlocks e il colorito olivastro della pelle. Nonostante
fosse stato Ambasciatore della Differenza Interplanetaria (o come cazzo si chiamava
quella roba per cui manco lo avevano pagato), Wallace mal sopportava arti in
più, tentacoli, chele o roba simile.
La porta
dell’ufficio si aprì, la Roveriana (com’è che si chiamava?) sorrise e fece
cenno ai due ospiti di entrare.
“I suoi
ospiti, Signore”
Wallace non
finse neanche un sorriso, dall’alto dei suoi quarant’anni spesi a scalare il
mondo della musica interplanetaria fino a dominarlo poteva permettersi di non
sorridere, anche di fronte all’idolo del momento (Nikoh, terrestre) e il suo
mellifluo pelosissimo agente (Rhaaj, Orwandiano).
Fu il
ragazzino a rompere il silenzio.
“Ma davvero
morirò?”
Wallace
appoggiò i gomiti alla scrivania, fissò per un momento gli occhietti luccicanti
in mezzo al pelo di Rhaaj e rispose al ragazzo.
“Ma no,
stellino, non ti preoccupare. È solo il colpo di genio del sottoscritto per la
mossa finale della tua fantasmagorica carriera!”
“Finale?”
chiese l’Orwandiano, tramite la voce amplificata del multitraduttore SpeekEZ™.
“No, non finisce un bel niente perché, tempo
sei mesi, cominciamo con gli inediti, i bootleg non ufficiali dei concerti, le
ristampe in digitale rimasterizzato dei dischi d’esordio, gli album tributo, i
concerti in memoria e intanto alimentiamo il mito con la storia che è morto,
una roba così non è riuscita neanche ad Elvis!”
“Elton?”
Chiese Nikoh.
Wallace
sbuffò.
“No, Elvis...
lascia stare, non abbiamo tempo per questo. Fidati.”
Rhaaj annuì,
o almeno così sembrò.
“Ma io… io
non so se voglio morire…”
“Ascolta,
Einstein” si fermò a fissare lo sguardo smarrito del ragazzo di fronte a lui e
poi riprese:“lascia perdere, un giorno poi ti spiego anche questa.”
“Ascolta
bene: primo, non muori veramente. Chiaro? Smetti di esistere “artisticamente”
ma nessuno ti torcerà un capello, stai tranquillo. Secondo, quanto veramente
credi di poter tirare avanti, da vivo? Hai fatto il contest tre anni fa, hai
vinto perché ti abbiamo disegnato come il “ragazzo terrestre che vuole fuggire
da sé stesso”, e qualsiasi cazzo di significato abbia la cosa ha funzionato.”
SI
interruppe, un vecchio trucco per dare agli altri l’impressione di un discorso
meditato. Prese un sigaro di Juanamaria, l’erba blu che cresceva ovunque su
Ariane, e se lo accese.
“Ti abbiamo
fatto vincere il festival interplanetario, e mi sei costato più in giornalisti
pagati per far polemica che in giudici, ti ho fatto fare il tour più idiota del
mondo, con i concerti tenuti nelle discariche per protestare contro lo
sfruttamento del pianeta terra, ma ha funzionato. Ti ho pagato tre love stories
con altrettante attricette e puttanelle pubbliche di tre mondi diversi,
compresa una che aveva il doppio dei tuoi anni!”
Bevve un
sorso di single malt dal bicchiere sulla scrivania.
“Ma sono tre
mesi che mi sei sceso in classifica, e Dio solo sa quanto cazzo mi è costato
convincere i migliori turnisti del mondo a farti da “Band” per il tuo “greatest
hits remix”! E la concorrenza ha sfoderato quella cretina Vourzyana con i
tentacoli e una minchia di fisarmonica e hanno fatto il botto, mentre tu non
sai distinguere un Do maggiore da un fischio di treno… qualcosa ci dobbiamo
inventare, no?”
“Ma non potrò
più fare la mia vita, e la mamma?”
“La tua vita
ha smesso di essere tua quando hai cercato la fama e il successo! O vuoi farmi
credere che veramente “volevi esprimere quello che hai dentro”?”
“Sai che
neanche i pennivendoli più affamati hanno accettato di scrivere questa cazzata?
La tua mammina, l’attempata tettona che farebbe qualsiasi cosa pur di farti
salire nella top hit di tutti i sistemi planetari, vivrà dei cospicui diritti
di autore che, forse, dividerà con te; ma io le farei firmare due carte prima
di sparire come personaggio pubblico…”
“Ma, ma non
c’è un altro modo?”
“Mah,
l’alternativa è un po’ vecchia, l’abbiamo già usata. Tiriamo fuori uno scandalo
sulla tua sessualità, lo pompiamo di accuse omofobe e attacchi sui social con
scherzi e battute in TV, paghiamo qualche letterato perché ti difenda e
alimentiamo la discussione, ma così tiriamo avanti qualche mese, massimo un anno…
e poi non dovunque.”
Si appoggiò
allo schienale: “Cazzo su Ryona hanno tutti tre sessi dalla nascita, cosa vuoi
che gliene freghi delle tue trasgressioni!?”
Si raddrizzò
sulla sedia, sporgendosi in avanti dalla scrivania, verso il ragazzo.
“Se muori invece
passi allo stato di mito! Hai capito!?! Le ragazzine di ogni pianeta compreranno
quelle cazzo di tue canzoni tra vent’anni solo perché le mamme avranno
raccontato la tua storia con occhi lacrimosi! Andrai a finire nell’olimpo dei
“too young to die” troppo giovane per morire!! In compagnia di gente che manco
sai chi cazzo sono ma che dovresti ringraziare solo per averti accolto tra
loro. Farò, faremo, un sacco di soldi per anni, decenni! Cazzo! Se muori
diventi immortale! Ce la fai a capirlo o vuoi un disegnino!?!”
“Ma che
scandalo sulla sessualità!?” chiese il ragazzino, un po’ corrucciato.
Wallace
sbuffò di nuovo.
“Minchia!
Ancora lì sei!?”
Si appoggiò
allo schienale.
“Ti
costruiamo una storia omosessuale, come fosse un incidente di percorso, poi
vediamo come va e, se prende la piega giusta, ti spostiamo nell’area
dell’audience “pro diverso” e ci ficchiamo su anche una bella campagna sociale
con la tua faccia in nome della diversità, ti schiera un po’ tanto ma è un
argomento che tira e, se ci portiamo dentro i politici ci facc..”
Il ragazzo si
alzò in piedi gridando
“NO! Io
frocio no! Li odio i froci io!! E poi la mamma… la mamma…”
Rhaaj
l’Orwandiano si irrigidì, e con lui i suo i peli. Aveva avvertito il click
dell’interruttore che era scattato nella testa di Wallace.
“Ascolta,
pezzettino di cacca.” disse Gordon, freddamente.
Nikoh si
incavò ancora di più nella poltrona mentre Rhaaj, impercettibilmente,
allontanava la poltrona dal suo assistito.
“Hai una
minima, vaga, idea di quanto contino le tue opinioni e quelle della tua mamma
in questo business!?”
“N-no…”
“Bene, allora
te lo dico io: niente, un cazzo, zero, un sasso di Oskan-3, una particella di
pulviscolo spaziale ha più peso per me e il mio business!”
“Tu sei
famoso, sei un mito su sedici sistemi stellari e ancora vuoi dire qualcosa?!?”
Wallace
aspirò un tiro del sigaro, lo inalò profondamente e poi lo sbuffò in faccia al
ragazzo.
“Sono più di
trent’anni che costruisco successi, cos-tru-i-sco! Capito!”
“Mai toccato
un tasto o una corda e mi chiamano il genio della musica! Sai perché!?”
“P-p-perché?”
“Perché io so
cosa piace alla gente, in 47 pianeti diversi! E se non gli piace glielo faccio
piacere!”
Puntò uno
degli oblò sulla parete.
“Là fuori
ascoltano, comprano, impazziscono, appendono i poster in camera o in quelle
cazzo di tende da nomadi di Aarkhon di quello che gli dico io! Quello che gli
ho fatto piacere con un percorso studiato, calcolato e eseguito da ME!!”
“Ma, ma la
mia musica…”
“La tua
musica! LA TUA MUSICA!?!” Wallace si appoggiò alla scrivania, quasi vacillando.
“Ascolta
stronzetto, non so se te ne sei accorto, mentre partecipi alle serate e
all’ospitate dove ti mandiamo noi, ma sono trent’anni che la musica non esiste
più, per tutti, non solo per te.”
Aspirò
profondamente dal sigaro.
“Nessuno
ascolta più, comprano. Comprano il prodotto che noi gli confezioniamo, che non
ha un cazzo a che fare con i gorgheggi che emetti o con le note che gli
facciamo mettere attorno. La creatività non paga, la scienza si: ogni tua
deiezione sonora è calibrata per completare il prodotto. Le sperimentazioni
musicali, il gusto del suonare, la schitarrate in riva alla spiaggia con testi
pensati e accorati non sono da industry. Vuoi sballare in spiaggia? Portati un
SoundBoom™ ricaricabile e pompa a tutto volume i pezzi che hai comprato
online!”
Prese il
bicchiere dalla scrivania e bevve un sorso.
“Ho lavorato
una vita per lavare via l’incertezza della fantasia dal verde dei soldi!!”
Si rivolse
all’Orwandiano, puntandogli contro il dito.
“E quindi
adesso spiega tu a questa nullità cosa vuole dire discutere le mie idee, perché
a me, di lui e della sua mamma…”
L’agente alzò
lo sguardo verso Wallace, aspettando il resto della frase, del cui significato
peraltro tutto gli era già molto chiaro.
Wallace,
paonazzo in viso, si era bloccato. Cercò di portarsi il sigaro alla bocca, ma
non ci riuscì.
Si accasciò
su sé stesso, cadendo sulla scrivania e rovesciandola all’indietro e facendo
fracassare il tumbler di whisky.
Immobile sul
pavimento diede un rantolo, poi il respiro si fermò.
La Roveriana,
richiamata dal baccano, entrò nella stanza, mentre gli altri due erano
impietriti sulle poltrone.
Girò oltre la
scrivania e si chinò su Wallace. Lo toccò.
Gli prese il
polso. Poi scosse la testa e lo lasciò andare.
Si prese la
testa tra le mani, singhiozzando.
Guardò il
sigaro, spentosi cadendo nella pozza di whisky, accanto al bicchiere in
frantumi.
“Gli dicevo
di non esagerare! Ma non mi ascoltava, non ascoltava nessuno! Diceva che era
troppo giovane per morire!!”
Nikoh, ancora
a bocca aperta, si girò verso il suo agente.
“Come Elton!”
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