venerdì 22 ottobre 2010

L'errequattro

Di quella notte mi ricordo solo dei frammenti, nitido e vivido forse solo l'attraversamento dell'incrocio di via Paolo Sarpi con Viale Montello.
Mia madre, all'epoca ancora l'unica dotata di patente fra noi quattro, che guardava a destra e sinistra tra i semafori lampeggianti di giallo, rallentando per poi riaccellerare dopo aver inserito la marcia inferiore con la strana leva ad ombrello della Renault 4.
E poi più niente: non ricordo come siamo saliti sulla macchina della mamma, se abbiamo preso i Bastioni oppure Viale Pasubio, non ricordo dove abbiamo posteggiato, come siamo entrati in Ospedale.
Solo l'arrivo davanti alla camera dove era papà, con la Fernanda, la sua vecchia tecnica di laboratorio, che abbracciava la mamma, mentre questa le diceva “Fernanda, i ricordi rimangono a lei”.

Il telefono aveva squillato in quello che, all'epoca, mi sembrava il cuore della notte. La mamma rispose, scambiò due parole e poi ci chiamò con un “andiamo”. Ma noi tre eravamo già svegli.
Ci vestimmo velocemente, nel freddo della notte di Novembre.

La macchina era probabilmente sotto casa, posteggiata sul marciapiede. Non mi ricordo se salii davanti o dietro, ma mi ricordo la rapida successione di quattro portiere di latta che sbattono per richiudersi nel silenzio ovattato della notte.

La Renault 4, detta anche errequattro, era da sempre la macchina di famiglia, quella della mamma, che ne apprezzava – decantandole forse un po' troppo - la praticità e la versatilità.

Con l'errequattro si andava dappertutto, e quando comprammo quella con il tetto apribile (forse la quarta posseduta dalla mamma) sembrò di toccare veramente il cielo con un dito.
Sull'errequattro siamo cresciuti e abbiamo vissuto di tutto: dal famoso incidente nella nebbia, io – che ero con papà – mi ritrovai sul sedile posteriore quando andammo a sbattere nella 124 guidata dalla mamma, alle mie prime prove di guida al lago, senza patente e con mia sorella di fianco.

Le tante possedute, credo cinque o sei in totale, sono catalogate nei miei ricordi per colore: vaghi quelli di una rosso scuro, più netti quelli di quelle argento, azzurro metallizzato e blu.

Di quella col tetto apribile, azzurro metallizzato, ricordo la gioia dell'estate; quando finalmente si poteva aprire il tetto, e le scarrozzate che la mamma si affliggeva per il litorale marchigiano o abruzzese per far divertire noi ragazzi con le teste nel vento.
Ma mi ricordo anche la fatica, e le prime bestemmie dette per ridere, per “smollare” i quattro morsetti che fissavano il tetto; solidamente incastrati dalle intemperie di tutto un inverno. Io, mio fratello e Alberto Fanelli a smanettare mentre la vecchia con il cagnolino dal cappotto scozzese ci invitava, senza biasimo e quasi con dolcezza, a bestemmiare un po' meno, 'che eravamo ancora giovani.

A quella argento sfilai la modanatura cromata sotto porta andando a “pelare” un cespuglio a Gignese, in una di quelle prime uscite ancora senza patente. Recuperai la modanatura, piegata e un po' contorta, con la sicurezza che - con l'aiuto di papà – sarei stato in grado di rimetterla a posto. La infilai nel traliccio della scaffalatura in garage per fare il lavoro. Ed è rimasta lì finchè non abbiamo venduto la casa, molti anni dopo, forse perchè papà non c'era più o forse perchè non era più importante.

Quella di quella notte era blu; un colore su cui mio padre mi sorprese, una mattina primaverile, quando mi fece notare come stessero bene i fiorellini viola caduti nella notte piovosa sul cofano. Un pensiero che avevo avuto anch'io ma di cui non avrei mai immaginato che papà potesse cogliere il dettaglio ed apprezzarlo.

Fu anche quella con cui feci la prima vacanza da grande, io con lei e Matteo Trezzi con la 127, più altri compagni di liceo – appena terminato - e fidanzatine in Corsica.
L'orgoglio con cui, alla sua guida, attraversai il desert des agriates, caricandola dei bagagli di tutti perchè la 127 toccava ad ogni buca. La mia piccola jeep dei 18 anni!
Ma mi ricordo anche l'irruenza e l'ignoranza con cui la guidavo, e di come sono stato fortunato a non uccidermi sulle strade Corse in quella stessa vacanza.

E con l'errequattro facemmo una delle ultime vacanza tutti insieme, in Trentino, stretti in sei a bordo perchè erano arrivate anche la zia Anna e la zia Nina. Non ne potevo più e scalpitavo per scendere, così la mamma inchiodò in questa stradina in mezzo al bosco e io mi catapultai fuori, con la zia Anna – che mal sopportava le mie intemperanze – a felicitarsi perchè adesso loro sarebbero stati più comodi.
Ancora accaldato e offeso presi la via verso casa e quasi non feci caso, dopo qualche tempo, allo spettacolo che mi si offriva: più giù, nel bosco, un bellissimo cervo che mi osservava, tranquillo, brucando. E mi ricordo lo sconforto provato nel non potere condividere quella scena con nessuno.

E poi mi ricordo cose assurde, quasi da malato, come quando la mamma ci annunciò che avevamo appena percorso il cinquecentesimo chilometro con la errequattro nuova (forse quella argento) e io mi fissai su un vicino cartellone pubblicitario dei mobili Gallo (chissà di dove poi) perchè mi sembrava fosse importante ricordare quell'evento. E ancora lo ricordo.

O la sera che con il Gila tirammo tardi a importunare travestiti e poi la mamma mi cazziò solennemente perchè quel fesso aveva lasciato in macchina il preservativo con cui aveva giochicchiato tutta la notte, e la mamma lavorava dalle suore e posteggiava nel parcheggio interno dell'Istituto!

Abbiamo avuto anche quella con il sedile davanti unito, a panchetta, e rabbrividisco a ricordare la volta che – in autostrada da solo – mi spostai in corsa al posto del passeggero guidando con il piede sinistro sull'acceleratore.

Era indistruttibile e di scarsissima manutenzione; con papà riparammo la leva del cambio – che correva sopra il motore e contribuiva a dare la forma al cofano anteriore – semplicemente unendo i due pezzi rotti con un manicotto di metallo.

Il motore poi, un misero 845 cc., sembrava potente e pimpante al guidatore in erba che ero, ma in realtà sviluppava 34 modestissimi cavalli. Un'inezia paragonata a tutte le macchine che ho guidato poi, ma fantastici e inesauribili quando legati a quei ricordi.

Era un un cuore che non smetteva mai di battere. Neanche quando, in una freddissima notte di novembre, ne accolse altri quattro, spaventati per un viaggio terribile e triste.

25-11-1984 - 25-11-2009

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